Il Vangelo della Domenica
VANGELO DI DOMENICA 22 GIUGNO 2025
SANTISSIMO CORPO E SANGUE DI CRISTO
(Vangelo di Luca 19,11-17)
“Gesù prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Dategli voi stessi da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: «Fateli sedere per gruppi di cinquanta». Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste”.
La Festa del Corpus Domini è nata nel tredicesimo secolo grazie al contributo nascosto, silenzioso e fecondo della mistica cristiana.
Secondo la Beata Giuliana, monaca agostiniana di Mont-Cornillon presso Liegi, nell’attuale Belgio, al pieno splendore della liturgia cattolica del suo tempo, mancava un elemento essenziale: una Festa che onorasse il Corpo di Cristo sacrificato per l’umanità.
Giuliana intendeva sviluppare il culto eucaristico sia al di fuori, che durante la Santa Messa, e insieme con altre persone si mise in contatto con i vescovi di Cambrai e di Liegi, chiedendo, a quest’ultimo, di istituire subito in diocesi la festa del Corpus Domini.
Malgrado i pareri contrari, Giuliana continuò a portare avanti la sua idea, animata da un ardente amore per l’Eucaristia, e facendo preparare l’Ufficio per la nuova celebrazione. Tutti ne furono entusiasti fino al punto che, nel 1246, il vescovo di Liegi istituì la festa diocesana del Corpus Domini.
Nel 1264, il Papa Urbano IV, già arcidiacono di Liegi e quindi conoscitore sia della Festa che dell’ondata benefica di spiritualità scaturita dalla stessa, estese la Festa a tutta la Chiesa Cattolica.
A conferma della decisione del Papa, giunse, pressoché inaspettata, nello stesso anno se non quello precedente, la risposta del Cielo. A Bolsena, mentre stava celebrando la Santa Messa, un sacerdote ebbe il dubbio sulla presenza di Gesù nell’ostia consacrata. E mentre era assillato da questa inquietudine, nel momento stesso della consacrazione, elevando l'ostia sopra il calice, la vide arrossata di sangue. Subito dopo constatò che alcune gocce di sangue erano cadute sul corporale, il telo di lino inamidato sul quale sono deposti la patena contenente l’ostia ed il calice contenente il vino. Ma quello di Bolsena non era che uno dei tantissimi Segni offerti dal cielo, per aiutare la fede del popolo cristiano.
Al colmo della gioia, ma anche sinceramente pentito per aver dubitato sulla presenza di Gesù nell’ostia, il sacerdote avvolse le specie eucaristiche nel corporale, dirigendosi verso la sagrestia. Durante il percorso alcune gocce di sangue caddero anche sui marmi del pavimento e su gradini dell'altare. Subito dopo, accompagnato dai canonici di Santa Cristina, la Chiesa dov’era avvenuto il miracolo, il sacerdote prese la strada di Orvieto, dove soggiornava, con la sua corte, il Papa Urbano IV. Davanti al Pontefice, il sacerdote confessò nuovamente la sua mancanza di fede verso la Presenza di Gesù nell’Eucaristia, chiedendo il perdono e l'assoluzione.
Comprovata l’autenticità del miracolo, Urbano IV depose il corporale nel sacrario del Duomo di Orvieto, dove tuttora è conservato ed esposto alla devozione dei fedeli. Così, con la Bolla Transiturus, Papa Urbano IV istituì la Festa del Corpus Domini, affidando la preparazione dei relativi testi liturgici a San Tommaso d’Aquino, il più grande teologo del tempo.
Ma sarà più tardi, con Papa Clemente V, che la Festa del Corpo e Sangue di Cristo assumerà tutta la sua rilevanza, conservandola tuttora nel mondo cattolico.
E veniamo, finalmente, al brano di Luca che la liturgia propone come testo evangelico di questa Festa del Corpo e Sangue del Signore Gesù. È il celeberrimo miracolo della moltiplicazione dei pani, uno dei più conosciuti della vita del Rabbi di Galilea. Il sole sta per tramontare e i Dodici sono preoccupati per tutta la folla che lo ha seguito, fin qui, in un territorio deserto, ma verdeggiante, poco lontano dalla riva occidentale del mar di Galilea. E allora gli apostoli si avvicinano a Gesù, dicendogli: “Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta”. Ma Gesù dice loro: “Dategli voi stessi da mangiare”. Essi rispondono: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”.
L’evangelista Luca dice che sono presenti circa cinquemila uomini. Come si può sfamare un popolo così numeroso! Gesù è mosso dalla compassione verso tutta questa gente che lo ha seguito anche in questo un territorio isolato, e vuole dare un Segno tangibile della Presenza di Dio, in mezzo al suo popolo. Una Segno che ricordi un altro evento avvenuto nel deserto del Sinai, quando Dio stesso, per mezzo di Mosè, aveva provveduto a dar da mangiare al suo popolo: Israele.
Ora, Gesù dice ai discepoli: “Fateli sedere per gruppi di cinquanta”. Subito dopo, come un buon padre di famiglia ebreo, prima di mangiare prende i pani ed i pesci, leva gli occhi al cielo, li spezza e li dona ai suoi amici perché vangano distribuiti tra la folla. Tutti ne mangiano a sazietà. Nell’ultima Cena, quella dell’addio, Gesù ripeterà il gesto di spezzare il pane per i suoi discepoli. In tale occasione essi riceveranno un mandato che andrà oltre i limiti della loro esistenza umana, e sarà continuato dai loro successori: altri che come Pietro e i discepoli erediteranno il “Comando d’amore” di Gesù, ripetendo, senza limiti di tempo e di spazio, le sue Parole di consacrazione sul Pane e sul Vino, donando il Suo Pane spezzato e il suo Vino versato, non solo alle folle di Galilea, ma alle folle di tutti gli uomini di buona volontà che, senza confini di tempo e di spazio, saranno parte del nuovo Israele di Dio. In fondo, è la Persona stessa di Gesù, il Figlio di Dio disceso dal cielo come la manna nel deserto, a farsi Parola e Pane di Vita, come dirà, poi, nella sinagoga di Cafarnao, poco più a nord del Lago. Parola e Pane che sostengono questa folla che è immagine dell’infinita folla del Popolo di Dio, in cammino, in ogni tempo e luogo, verso il Regno dei cieli.
Quindi, c’è un passaggio preciso, dal miracolo della moltiplicazione dei pani a quello nascosto, perché invisibile, e non percepibile dell’ultima Cena, che ha dato il via al “Pane spezzato e mangiato” in tutti i Banchetti imbanditi da Gesù stesso per noi. Il passaggio parte dal miracolo della moltiplicazione dei pani, passa per le parole sul Pane dal cielo, che Gesù pronuncerà nella sinagoga di Cafarnao, come sublime catechesi del suo ineffabile Dono, per giungere al suo momento culminante: la Cena di addio, imbandita da Gesù, prima della sua morte in croce, per arrivare fino a tutti noi che ci lasciamo raggiungere, amare, riamando con tutto il nostro amore, sostenuto e dilatato dalla sua Grazia Divina, il Figlio di Dio, incarnato per noi, offerto al Padre per noi, e donato a noi in questo Pane dal Cielo che è, nel contempo, la Sua Presenza in mezzo a noi.. E allora, partecipando alla sua Eucaristia-ringraziamento, che diviene la nostra Eucaristia-ringraziamento, permettiamo a Gesù di essere sempre Presente in noi.
La Presenza sacramentale di Cristo si realizza quando il celebrante ripete, secondo le parole di Gesù: «fate questo in memoria di me». In tal modo, Lui è presente “con la sua divinità, con la sua umanità, il vero Uomo-Dio”, come ebbe a dire il cardinale Josef Tomko in un celebre congresso Eucaristico. Gesù si rende, quindi, realmente presente nella Santa Messa, o Santa Cena. Ma questa sua presenza si irradia su tutti noi che partecipiamo, mangiamo il suo Corpo Santissimo e beviamo il suo Sangue santissimo. Infatti, le parole, che il sacerdote celebrante ripete solennemente, sono le stesse pronunciate da Gesù nella Cena dell’addio: “Prendete…”; “Bevetene tutti,…”.
Possiamo pensare che Gesù sia realmente presente nell’Eucaristia, dal momento in cui le sue parole riecheggiano nella formula di consacrazione, fino alla consumazione del cibo? Lo dobbiamo credere e pensare. Anzi è una Presenza che sussiste anche dopo il convito eucaristico, quello che noi chiamiamo comunione.
Relativizzare la Presenza del Risorto solo al tempo-spazio che va dalla consacrazione alla comunione, significa voler porre dei limiti alla Potenza dello Spirito di Dio che opera attraverso quelle Parole di Gesù dette nella Cena di addio e che “non passeranno mai”.
Ho iniziato questa riflessione con un riferimento mistico, e ora la chiudo con un altro riferimento mistico, perché grazie alla loro particolare Sapientia cordis, la sapienza del cuore che è dono di Dio, le anime mistiche sono quelle che riescono a cogliere, in modo particolare, la Grandezza, la Bellezza, e il valore infinito, dei Tesori elargiti da Dio e, come insegna la parabola della perla preziosa, esse custodiscono e valorizzano nella purezza del proprio cuore, i “Tesori di Dio”. Una di queste anime, un’anima profondamente Eucaristica, è proprio San Pio da Pietrelcina. E chiudo, allora, proponendo alla vostra attenzione e riflessione i testi tratti da due lettere inviate al suo carissimo confratello padre Agostino da San Marco in Lamis: “Ieri festività di San Giuseppe, Iddio solo sa quante dolcezze provai, massime dopo la messa, tanto che le sento ancora in me. La testa e il cuore mi bruciavano; ma era un fuoco che mi faceva bene. La bocca sentiva tutta la dolcezza di quelle carni Immacolate del Figlio di Dio [...] Quanto mi rende allegro Gesù! Quanto è soave il suo spirito! Ma io mi confondo e non riesco a fare altro se non che piangere e ripetere: Gesù, cibo mio! [...] Gesù, amore nel cuore non ce ne ho più, tu sai che l'ho donato tutto a te; se vuoi più amore, prendi questo mio cuore e riempilo del tuo amore e poi comandami pure di amarti, che non mi rifiuterò; anzi te ne prego di farlo, io lo desidero”. “…….Vorrei per un solo istante scoprirvi il mio petto per farvi vedere la piaga che il dolcissimo Gesù amorosamente vi ha aperto in questo mio cuore! Esso finalmente ha trovato un amante che si è talmente invaghito di lui, che non sa più inasprirlo... […] Ed allorché gli domando che cosa ho fatto per meritare tante consolazioni, lui mi sorride e mi va ripetendo che a tanto intercessore nulla si nega. Mi chiede in ricompensa solo amore; ma non lo debbo a lui forse questo per gratitudine?. Egli si è talmente invaghito del mio cuore, che mi fa ardere tutto del suo fuoco divino, del suo fuoco d'amore. Che cos'è questo fuoco che mi investe tutto? Padre mio, se Gesù ci rende così felici in terra, che sarà nel cielo?! Mi vado alle volte domandando se vi siano delle anime che non si sentono bruciare il petto dal fuoco divino, specialmente allorché si trovino dinanzi a lui in sacramento. A me sembra ciò impossibile, massimamente se ciò riguarda un sacerdote, un religioso. Forse quelle anime che dicono di non sentire questo fuoco, non l'avvertono a causa del loro cuore più grande. […] Ho tanta confidenza in Gesù, che se anche vedessi l'inferno aperto dinanzi a me, mi trovassi sull'orlo dell'abisso, non diffiderei, non dispererei, confiderei in lui”.