Il Vangelo della Domenica
DOMENICA 28 MAGGIO 2023
PENTECOSTE
(Gv 20,19-23)
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»”.
La Festa della Pentecoste, che celebriamo questa domenica, appartiene originariamente alla tradizione ebraica, ed è chiamata Shavuot, “sette settimane”. Per questo è conosciuta come la festa delle settimane. Gli ebrei di lingua greca le diedero il nome che noi conosciamo: Pentecoste, perché cade 50 giorni dopo la Pasqua ebraica. Nell’antichità era una celebrazione agricola: la festa della mietitura, che durava sette settimane. Si cominciava con la mietitura dell’orzo a Pesach, cioè Pasqua, e si terminava con quella del frumento a Shavuot, ossia Pentecoste. In questo periodo si respirava un’atmosfera di festa e di gioia.
Secondo il libro dell’Esodo, il popolo di Israele doveva recarsi al Tempio di Gerusalemme, offrendo le primizie del raccolto. Col passare del tempo il significato della Pentecoste si estese ancora di più, assumendo un senso ancora più spirituale, perché, secondo la tradizione, in questo giorno Dio donò la Torah, la Sua Legge, al popolo di Israele. Ed è questo il valore attribuito alla Festa nel tempo di Gesù. Gli ebrei intendono, così, celebrare il dono della Legge di Dio sul Sinai.
Il Cristianesimo ha spiritualizzato ancora di più questa Festa, celebrando il grande Dono dello Spirito Santo, offerto da Gesù al popolo dei credenti, in modalità e momenti diversi, come appare nei racconti degli agiografi, coloro, cioè che hanno messo per iscritto i testi sacri del Nuovo Testamento. Più precisamente, mentre l’evangelista Luca fa coincidere il Dono dello Spirito di Cristo sugli apostoli nel corso della Pentecoste ebraica, Giovanni evangelista lo fa risalire direttamente al Risorto, nello stesso Cenacolo di Gerusalemme dove l’ambienta Luca, ma in un tempo decisamente diverso: la sera di Pasqua.
Giovanni scrive per ultimo il suo evangelo, e sicuramente ha ben presente i testi evangelici che lo hanno preceduto, e specialmente il racconto di Luca inserito negli Atti degli apostoli. Tuttavia, egli va diritto per la sua strada descrivendo, come detto in precedenza, il Dono dello Spirito in un tempo diverso da quello di Luca: la sera della prima Pasqua cristiana, quando Gesù si mostra ai suoi discepoli con i segni della passione.
Senza voler fare alcun confronto con Luca, anche perché non penso sia inverosimile l’ipotesi che il Dono dello Spirito Consolatore possa essersi ripetuto pure in tempi diversi, credo di avere una considerevole preferenza per la versione del quarto vangelo, avvalorata, a mio personale parere, dal fatto che il redattore sacro, cioè Giovanni evangelista o un suo fedele discepolo, mostri una particolare conoscenza della cronologia e di molti dettagli relativi alla Passione e risurrezione del Signore, e il Dono dello Spirito appartiene proprio a questa. E allora, traendo lo spunto da quanto propostoci dalla liturgia di questa Domenica di Pentecoste, vediamo di rileggere i cinque versetti che compongono il testo evangelico.
È la sera di Pasqua; della prima Pasqua cristiana. È il cosiddetto “terzo giorno”, e noi sappiamo bene con quanta attenzione Giovanni evangelista descriva la cronologia dei fatti narrati nel suo Vangelo. Le porte del luogo dove si trovano i discepoli per timore dei Giudei, sono sbarrate. Il timore di ciò che è successo in queste ore si protrae profondamente nella piccola comunità di Gesù. E mentre tutti sono in apprensione, la scena cambia completamente. Rileggiamo il testo del vangelo: “…venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!»”.
Il termine originale usato da Gesù è un altro, ed è più pregnante: Shalom! Questa è una parola che non comprende solo la pace, ma anche altri significati principali che sono: prosperità, successo; completezza, l’essere intatto; benessere, stato di (buona) salute; socievolezza, gentilezza; liberazione, salvezza. Da questa lista, quindi, risulta che il significato di «pace» non rappresenta solo il significato principale del termine shalom, utilizzato da Gesù. Per essere più chiari, il termine shalom-pace, utilizzato da Gesù la sera di Pasqua, significa, come dice il teologo tedesco Klaus Wengst, “tutto ciò che è favorevole, tutto ciò che uno suole augurarsi per avere una vita felice. Questa espressione significa quindi all’incirca: possano le cose andarvi bene!”.
Gesù appare finalmente ai suoi amici, porgendo loro il saluto che indica la sua vittoria, dalla quale proviene la pace che compendia e anticipa tutti i doni della Risurrezione. E la gioia che Lui ci dona con il suo amore, è il frutto di questa pace. Un saluto particolare, pregnante perciò. E dopo aver mostrato i segni della passione e, quindi, della risurrezione, presenti nelle mani e nel costato, ripete nuovamente, per indicare quella Pace che Lui solo può donare, ai cuori inquieti e smarriti degli uomini di tutti i tempi.
Poi, per fornire le prove della sua risurrezione, Gesù mostra loro le mani ed il costato. Solo dopo aver visto i segni della passione nel Suo corpo Risorto, i discepoli gioiscono al vedere il Signore. Sembra strano che solo ora essi provino la gioia piena della Sua Presenza.
Poi, Gesù dice di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi”. Gesù introduce il Dono dello Spirito Santo con le parole che ripetono il Suo mandato agli “Undici”. Stavolta, però, li invia nel mondo da Risorto, da vincitore della morte, con l’autorità di Figlio di Dio risuscitato come primizia della nuova Creazione. Egli invia gli apostoli con la Potenza della risurrezione. “La missione degli apostoli è dunque una funzione dell’incarnazione, ma dell’incarnazione al suo apice pasquale: sono mandati nella consacrazione pasquale di Cristo, mandati nel mondo per mezzo di un’azione che li sottrae ad esso, per mezzo di una traslazione nella santità di Dio(Cfr. Gv 17,9)”.
Questo nuovo invio si traduce in un nuovo potere che Gesù conferisce agli apostoli con il Dono dello Spirito Santo. Gesù alita su di loro. Per uno studioso come Schnackenburg, “il simbolo dell’alitare, stando ai passi di riferimento dell’Antico Testamento vuol dire trasmissione di vita, qui dunque partecipazione alla vita del Risorto, che possiede lo Spirito e ora lo trasmette anche ai suoi discepoli”.
Dicendo queste parole: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi”, Gesù risorto “comunica la vita divina, la vita definitiva, ai suoi alitando su di loro lo Spirito Santo vivificante. In tal modo si compie la nuova creazione, si compie la comunicazione della vita di Dio che è eterna”.
Pentecoste, ovvero Shavuot. Il Dono dell’antica Legge incisa su tavole di pietra, è ora superato dal Dono dei Doni inciso nei cuori: lo Spirito Santo; lo Spirito Consolatore; lo Spirito Paraclito. L’Amore che ama ed è amato. Lo Spirito di Cristo è il grande Dono che ci permette di trasfigurare la nostra vita nell’amore. “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo”, scrive Giovanni nella sua prima lettera. Una volta che abbiamo colto, nel nostro cuore, le radici più profonde di quell’amore che ci ha amati per primo, rivelandoci il suo amore per mezzo dell’amore di chi ci ama, non possiamo non lasciare spazio a questo amore, dentro di noi, perché lo Spirito di Cristo ci renda degni di amare degnamente l’Amore che ci ha amato per primo. Shavuot, allora, significa questo: ricevere il Dono dello Spirito di Cristo e lasciarci trasformare, rigenerare, ricreare da questo Dono di gioia, di pace, di amore. Amen.