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Il Figlio dell'Uomo

   Dai Vangeli emerge che Gesù a volte parla di sé stesso come di un'altra persona, nel senso che non dice "Io", ma "Il Figlio dell'uomo". E' un uso non insolito della lingua e della cultura semitica. Un titolo, questo di "Figlio dell'uomo", che nel Vangelo di Giovanni, redatto verso la fine del primo secolo, ricorre 13 volte, mentre nei vangeli sinottici, che sono più antichi, si ripete ben 69 volte. Ciò dimostra, insieme ad altri fattori, che il titolo Cristologico "Figlio dell'uomo" ha serie garanzie di arcaicità e gli stessi studiosi lo riconoscono come appartenente alla predicazione di Gesù negli anni della sua vita pubblica, quindi prima della Pasqua (Cfr. M. Bordoni, Gesù Cristo, in Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, p. 544). E allora tre interrogativi si affacciano nella nostra ricerca su Gesù. Primo: quale significato Gesù vuole dire al titolo di "Figlio dell'uomo". Secondo: cosa vuole insegnare a proposito di questo titolo ai suoi ascoltatori. Terzo: Cosa ci dice il titolo "Figlio dell'uomo" a proposito della identità di Gesù? Cioè, cosa possiamo sapere di Gesù Figlio dell'uomo superando il filtro redazionale dei Vangeli?

   Per comprendere il significato evangelico di questo titolo occorre confrontarci con il linguaggio apocalittico del libro del profeta Daniele, capitolo 7, versetti 13s : "Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto" (Dan 7,13-14). Nella tradizione apocalittica, Daniele assiste ad una visione al centro della quale appare "Il Figlio dell'uomo" sulle nubi del cielo che riceve l'impero universale. Lo scenario sembra insegnare che "la conclusione e il trapasso dai quattro regni umani a quello di Dio non sarebbe avvenuto senza la collaborazione di un particolare inviato da parte di Dio" (Cfr. M. Cimosa, Messianismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.949).

   Il problema che molti si sono posti riguarda l'identificazione di questa figura del "Figlio dell'uomo" con una collettività oppure con una singola persona, che potrebbe essere il Messia di Israele. Tenuto conto che secondo Feuillet, questo appellativo di "ben ’adam", Figlio dell'uomo" sia stato ispirato a Daniele dal profeta Ezechiele che lo usa ben 93 volte, ciò significa che "Il personaggio misterioso del Figlio dell'uomo di Daniele è una specie di manifestazione visibile del Dio invisibile...; appartiene alla sfera del divino ed è come un'incarnazione della gloria divina, come l'immagine umana contemplata da Ezechiele" (A. Feuillet, Le Fils de l'homme de Daniel et la tradition biblique in RB 60 [1953] 189, in M. Cimosa, Messianismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, p.949). Ma Ezechiele, a cui Daniele fa riferimento, mostra un altro aspetto del Figlio dell'uomo: egli, sin dal momento della sua elezione a profeta, da quando riceve lo Spirito di Dio, è chiamato "Figlio dell'uomo" "Ossia: piccola cosa fragile, uno dei tanti, che tuttavia Dio ha scelto e ha sollevato, trasfondendogli il suo spirito" (Giuseppe Danieli, Il Figlio dell'uomo, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 2, pag. 614).

   A questo punto va rilevato un terzo dato molto importante che accomuna gli studiosi. In tutta la letteratura Biblica si nota un continuo passaggio da una concezione collettiva ad una personale del "Figlio dell'uomo". Un pensiero, questo, che influenza anche il tema del Messia fino a far quasi coincidere l'idea del "Figlio dell'uomo" contenuta nel libro di Daniele in quella del "Servo di Jahvé", così drammaticamente descritta dal secondo Isaia, un personaggio la cui missione di salvezza non riguarda solo Israele ma tutti i popoli e la cui vita è predestinata a concludersi tragicamente. Ma egli sarà glorioso dopo la morte e così salverà gli uomini, versando il suo sangue per loro.

   A testimoniare la concordanza di queste due figure è proprio l'uso del termine "Figlio dell'uomo" sulle labbra di Gesù, così com'è riportato nei Vangeli. I tantissimi passi evangelici che contengono questo titolo, sono stati catalogati in tre gruppi: Primo gruppo: raccoglie tutte quelle testimonianze nelle quali il "Figlio dell'uomo" "vive la condizione umile, dimessa, ma, insieme, importante e decisiva. Da questo gruppo si evince che "Con Gesù si inaugura l'era escatologica ed il Figlio dell'uomo comincia a prendere il suo potere: l'autorità, exousía, di Gesù appare come potere di perdonare i peccati (Mr 2,10) ((M. Bordoni, Gesù Cristo, in Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, p. 545). Secondo gruppo: traspare la missione del Figlio dell'uomo che dovrà patire, morire e risorgere, compiendo la missione del Servo di Jahvé. "In questi passi il titolo "Figlio dell'uomo" sembra fondersi, nella persona di Gesù, con i caratteri del Servo di Dio. Terzo gruppo: la figura di "Figlio dell'uomo" appare come un "Messia escatologico", in linea con lo spirito profetico di Daniele (Mr 8,38; Mt 16, 27; Lc 9,26). Secondo Bordoni "Siamo di fronte ai passi che appartengono alla più antica tradizione evangelica dei <<detti>>, <<loghia>> [del Signore] (M. Bordoni, Gesù Cristo, in Nuovo Dizionario di Teologia, ed. Paoline, p. 546).

   Alla luce di questa catalogazione fatta dagli studiosi risulta ancora più evidente questa ambivalenza: autonominandosi "Figlio dell'uomo" Gesù attualizza la visione del profeta Daniele e, se da una parte è cosciente di avere l'autorità, "exousía" riconosciuta solennemente al "Figlio d'uomo" della visione di Daniele, dall'altra egli sa di rendere attuale ciò che è scritto nel secondo Isaia, a proposito della figura del "Servo sofferente di Jahvé". Infatti, tenendo conto della coscienza umana progressiva di Gesù, quando questi si rende conto chiaramente del destino tragico che lo attende, pensando alle Scritture, alla Bibbia, scopre in due libri che gli sono familiari, il secondo Isaia e Daniele, due figure che sembrano anticiparlo. Quella del Servo sofferente di Isaia 52,13-53,12, che gli permette di comprendere il mistero della sua morte sacrificale e di misurarne la portata, aprendo già la prospettiva a una futura glorificazione. La seconda, quella del Figlio dell'uomo di Daniele 7,13-14, gli fa intravedere in certo modo un'anticipazione e un annunzio profetico di questa esaltazione.....

   E' psicologicamente spiegabile che queste due figure, Gesù, le senta sue nel momento in cui la passione si compie. La prima, quella del Servo sofferente, si profila nel momento dell'Eucaristia; la seconda, quella del "Figlio dell'uomo", è evocata da lui quando risponde ai giudici che lo condannano a morte, annunciando la certezza di un ritorno glorioso che avrebbe realizzato la visione di Daniele di un uomo esaltato da Dio (M. Cimosa, Messianismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.951).

   Ricapitolando tutto quanto esposto finora io sento di affermare ancora una volta l'ambivalenza del titolo "Figlio dell'uomo". 

   Definendosi così Gesù vuole significare, da una parte, la sua provenienza misteriosa e, nel contempo, la sua straordinaria importanza nel progetto di Dio mirato alla salvezza dell'uomo, come appare nei riferimenti di Ezechiele e Daniele. Dall'altra parte, chiamandosi "Figlio dell'uomo, Gesù intende vivere la condizione di fragilità, di debolezza, caratteristica di questo titolo nel profeta Ezechiele. E' il Gesù storico, il Gesù che prima dell'esperienza della Pasqua dimostra chiaramente di aver scelto la via della debolezza e della fragilità; quella che passa per la croce e la morte.  

   C'è un chiaro riferimento a questa scelta volontaria fatta dal Rabbi di Nazareth, e lo troviamo nelle ore immediatamente precedenti al suo arresto. Dopo l'ultima cena, conscio del tradimento di Giuda, Gesù con i suoi discepoli si porta nel Getsemani. Il luogo è conosciuto da Giuda Iscariota, il traditore. Egli sa che Gesù si reca lì. Ecco perché è sicuro di trovarlo, quando vi conduce la soldataglia. Del resto altre volte era stato lì insieme col Maestro. Pur sapendo che Giuda è al corrente di questo "rifugio", Gesù vi si reca lo stesso. Eppure potrebbe evitare il rischio di essere "preso". Basterebbe recarsi a Betania, in casa dell'amico Lazzaro, poco distante dal Getsemani. O forse non vuole, il Maestro, mettere in difficoltà i suoi amici di Betania. Ma potrebbe rifugiarsi nel deserto di Giuda che comincia subito dopo Betania. I suoi anfratti, le gole profonde potrebbero offrire un comodo rifugio a lui ed ai suoi amici. E con calma avrebbe, poi, la possibilità di tornarsene nella sua Galilea o altrove.

   Niente di tutto ciò. Gesù sceglie il Getsemani. Innanzitutto perché nella notte di Pasqua bisogna pernottare a Gerusalemme per vivere pienamente la Pasqua, e data la massiccia presenza di pellegrini, non è solo tra le mura della Città santa che si può pernottare; ma in un perimetro più vasto che, ad oriente abbraccia anche la città di Betfage sul monte degli Ulivi (Betania è esclusa). Quindi anche il Getsemani ed il monte degli Ulivi fanno parte di questo perimetro. Questo è il primo motivo che spinge Gesù a vivere il precetto Pasquale nel perimetro di Gerusalemme, pur sapendo che lì lo troverà il traditore; lì sarà arrestato; lì il suo "piccolo gregge" conoscerà lo scandalo dello smembramento. 

   Ma egli sà, anzi è pienamente cosciente della sua resurrezione. Già ora, prima di essere arrestato, Gesù è consapevole della sua vittoria sulla morte. Ed è per questo che già a Cesarea di Filippo aveva preannunciato la sua morte, rimproverando addirittura Pietro per il suo tentativo di distorglierlo da quella via della croce, ormai scelta deliberatamente da Lui. Emerge in questo quadro riassuntivo un dato significativo e realistico del Gesù storico: già nella sua vita pubblica Gesù è cosciente di affrontare lo scandalo della croce. Il titolo "Figlio dell'uomo" ce lo presenta nella sua autentica umanità, ma anche nella sua Divinità, nel suo amore all'uomo che soffre. In fondo questo titolo cristologico lo rende vicino, anzi lo fa sentire profondamente tutt'uno con l'uomo che è nel dolore. Soprattutto conferisce un senso pieno alla sofferenza che accompagna l'uomo sin dagli albori della sua storia.

    "Allora il sommo sacerdote, levatosi in mezzo all'assemblea, interrogò Gesù dicendo: <<Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?>>. Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: <<Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?>>. Gesù rispose: <<Io lo sono! E vedrete il Figlio dell'uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo>>" (Marco 14,60ss).