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La "terza ricerca" applicata ai vangeli


IL GESÙ DELLA FEDE È QUELLO DELLA STORIA

Laddove Lessing vedeva un fossato invalìcabile, la nuova metodologia indica un tentativo di gettarvisi dentro per raggiungere la riva della fede e della teologia. Riva che non può più essere considerata inesistente, anche se non la si raggiunge.

 di GIUSEPPE SEGALLA

   Posizione del problema. Dal 1980 è entrato nella ricerca del Gesù storico un nuovo paradigma o modello, chiamato da N.T. Wright verso la metà degli anni '80 "terza ricerca", termine che ha prevalso e che è divenuto di dominio comune fra gli studiosi. 

   La ricerca del Gesù storico ha sempre avuto come base documentaria i quattro vangeli, anche se si assiste, in realtà, a un predominio dei primi tre vangeli, ignorando ingiustamente il quarto. Perché si chiama "terza ricerca"? Perché ovviamente è stata preceduta da altre due: la prima, chiamata anche Leben Jesu For­schung (LJF, ricerca di una vita di Gesù), era caratterizzata dal razionalismo positivista, che utilizzava il Gesù della storia (in realtà degli storici) contro il Cristo della fede e della teologia. La seconda, sorta all'interno della teologia kerigmatica di stampo bultmanniano, intendeva invece salvare l'annuncio del Signore morto e risorto, quindi la teologia, con un minimo di storia, raggiunto precipuamente mediante il principio critico della diversità dal giudaismo e dal cristianesimo delle origini: praticamente faceva di Gesù un non giudeo e presupponeva che la Chiesa non avesse niente a che fare con lui (Charlesworth). 

   Sarebbe troppo lungo e complicato addentrarci nel nuovo modello sul piano storiografico e metodologico, che ultimamente si concentra nel criterio della plausibilità storica, dando maggiore fiducia alle fonti evangeliche, che sono insieme documenti di storia e testimonianze di fede. Vogliamo perciò fermarci sul modello teologico, vale a dire sul rapporto fra la terza ricerca del Gesù storico e la teologia cristiana. La posizione dei due paradigmi precedenti sul rapporto fra storia e teologia nella ricerca del Gesù storico è presto detta: la LJF andava alla ricerca di un Gesù storico in contrasto col Cristo della fede e della teologia; alla fine ci si accorse che il Gesù storico era in realtà lo specchio, in cui si rispecchiava lo storico di turno. Kähler e Bultmann invece separavano il Cristo della fede dal Gesù storico, lasciato alla storia e agli storici. La nuova ricerca optò per un com­promesso: sì al Gesù storico, ma co­me risultato del criterio primario e quasi unico della differenza, che esaltava l'apriori del Cristo della fe­de, per cui Gesù è presupposto co­me un essere trascendente fuori del­la storia giudaica e cristiana. 

  Le distinzioni necessarie. 

  Nella “terza ricerca” si assiste a un dialogo critico fra storia e teologia, fra ricerca del Gesù storico e fede, ove purtroppo si ripetono talora, sia pure in modo diverso, le posizioni dei due precedenti paradigmi. Al di là delle posizioni datate, vorrei qui delineare l'orientamento globale della "terza ricerca" sul problema del rapporto fra storia e teologia nella ricerca del Gesù storico. 

   Chiariamo anzitutto i termini del proble­ma senza separazioni indebite o secche alternative, che si richiamano al fossato di Lessing fra storia contingente e verità necessarie. Un primo dato epistemologico fondamentale è la distinzione del metodo storico da quello teologico: ricerca del senso storico nel suo contesto storico di allora, e ricerca del senso della fede nel Dio che si rivela in Gesù Cristo per noi oggi. Mi sembra che diversi autori attuali (Byr­ne, Johnson, e un po' anche E.P. Sanders e J.P. Meier) sostengano una separazione netta fra i due metodi e il loro risultato, per cui si ravvisa un'alternativa, sbagliata, fra testimonianza apostolica su Gesù e il Gesù storico, mentre il Gesù Storico è presente solo nella testimonianza apostolica ed evangelica, che va ovviamente studiata anche col metodo storico. Storia e sua interpretazione sono sempre strettamente legate fra loro. E nel caso di Gesù si tratta di un'interpretazione di fede. Quando affermo «Gesù Cristo è morto sulla croce per i nostri peccati», per giungere al fatto senza l'interpretazione dovrei togliere non solo "per i nostri peccati", ma anche "Cristo". E resto allora con «Gesù è morto in croce». Ma anche questa è una selezione interpretativa, perché tre morirono crocifissi sul Calvario e migliaia nel I secolo in Palestina. Perché ricordare solo la morte di Gesù? Questa domanda se la deve porre anche lo storico, e non solo il teologo. Nell'interpretazione la testimonianza storica della narrazione è aperta alla fede, ancorché colui che ascolta la storia possa accoglierla o meno con quella fede che l'ha guidata e la anima. La storia, fondata su documenti testimoniali, non può non essere aperta alla fede e quindi alla teologia, per quanto sia di sua pertinenza non la fede stessa, ma semmai la testimonianza storica di fede. Distinzione dunque di metodi, ma non separazione fra storia e teologia. Va distinto, in secondo luogo, il Gesù storico dal Gesù degli storici. Purtroppo spesso lo si identifica e ne nascono deprecabili confusioni. Il Gesù storico è uno solo e gli storici cercano di avvicinarlo con i loro strumenti critici, senza mai raggiungerlo compiutamente. Il Gesù degli storici, nel migliore dei casi, rimane sempre comunque parziale. Le ricostruzioni unilaterali sono persino contrastanti fra loro: vedi come l'interpretazione di Gesù quale profeta escatologico sia in contrasto con un Gesù sapiente carismatico non escatologico (secondo tutta la corrente che si rifà al Jesus Seminar). Per questo, L.T. Johnson e altri nella stessa linea come teologi hanno buon gioco di rifiutare il Gesù storico, identificato col Gesù contraddittorio degli storici. Il Gesù degli storici non oggetto della fede (come pretenderebbe invece J.D. Crossan), e tuttavia la fede in Gesù ha a che fare con quanto essi dicono, perché ne delineano i contorni storici, aiutandoci a collocarlo lontano da noi, estraneo al nostro mondo culturale e inserito nel contesto culturale e religioso giudaico del primo secolo. 

   Ora, collocare Gesù nel suo contesto storico giudaico è assolutamente necessario per comprenderne il senso. La storia infatti produce esperienza e cultura. Ed è in questa esperienza e in questa cultura che un fatto, un comportamento, un detto acquistano il loro vero significato, che può essere provocante nei confronti della nostra cultura attuale. La fede si interessa alla storicità di Gesù, dunque, perché attraverso di essa perviene al significato della sua persona e del suo messaggio. La fattualità storica invece è lasciata allo storico, come la collocazione nel suo ambiente religioso e sociopolitico. Vale dunque il principio: Tutto ciò che contribuisce a comprendere il signi­ficato di Gesù e del suo messaggio appartiene alla fede e alla teologia. Quando si teme che la ricerca del Gesù storico scalzi la fede, si confonde il Gesù storico col Gesù degli storici. Se la ricerca del Gesù storico dovesse scalzare la fede, vuol dire che anche storicamente non è corretta, ma viziata da pregiudizi (B. Bauer e altri arrivavano a negare l'esistenza di Gesù: oggi nessuno Storico serio si permette di affermarlo; stessa cosa per i miracoli). Oggetto della fede non è il Gesù degli storici, ma il Gesù storico, cui ci si può avvicinare con la ricerca storica. Il Gesù storico appartiene al contenuto della fede, e la fede cristiana non può non essere interessata a questo contenuto, anche se oggetto ultimo della fede è il Signore crocifisso e risorto, presente attivamente nella comunità mediante il suo Spirito. Una terza e ultima distinzione è quella tra la fede cristologica attuale e la fede contenuta nelle narrazioni evangeliche. Non si deve proiettare la nostra teologia attuale sulle fonti evangeliche per far loro dire quanto è stato definito nei grandi concili o quello che sta a cuore a noi, nel confronto col nostro tempo, per la ricerca di un senso che si apre al Dio di Gesù Cristo. Il fatto che non vi si trovi in modo esplicito la teologia e la cristologia posteriore, non vuoI dire che in quelle fonti (che lo storico sottopone al vaglio critico come documenti della storia di Gesù) si vada alla ricerca di una storia separata dalla fede dei testimoni originari e degli interpreti. Vanno evitati i due estremi: considerarle documenti difatti neutri che si possono separare dall'interpretazione di fede, o vederle come narrazioni inventate da una fede mitica senza alcun fondamento storico. Ambedue vanno esclusi. Lo scettico che prescinde dalla fede interpretante degli evangelisti non può pensare di essere uno storico più obiettivo di colui che invece assume quei fatti insieme alla loro interpretazione di fede. Semmai il problema è quello della loro interpretazione più plausibile anche a livello di storia. Siccome la storia è sempre necessariamente anche interpretazione, e la storia di Gesù è narrata da testimoni credenti, non si può separare la vera storia di Gesù dal kerigma, come fanno Bultmann e la scuola kerigmatica. La narrazione è storia annunciata e d'altra parte il kerigma è annuncio di una persona storica, vissuta in un preciso spazio-tempo culturale e religioso, di cui si deve tener conto, se non si vuole svuotare l'annuncio del suo contenuto. E errata, in conclusione, sia la posizione degli storici che separano storia e teologia (E.P. Sanders e con lui molti altri, un po' anche J.P. Meier), sia quella dei teologi che separano la teologia dalla storia. Fusione di due orizzonti Il pericolo maggiore dei teologi e della teologia è quello di proiettare i loro problemi e le loro soluzioni pari pari nelle fonti evangeliche. In questo modo non si avrebbe più la comprensione autentica, che avviene nella fusione dei due orizzonti: quello di allora, passato, e quello attuale, presente. Proprio per questo è necessario ricostruire i contorni storici di Gesù, collocandolo nel suo ambiente giudaico, lontano ed estraneo, e lasciarci interpellare anche oggi sul problema di Dio, dell'uomo e del mondo. La storia ha il compito di collocare una persona del passato nel suo ambiente storico senza sovrapporle il nostro orizzonte, proprio per comprenderla giustamente. Ritornare alle fonti evangeliche (e ritornarvi con i metodi e le modalità dettate dalla cultura del nostro tempo) è perciò un compito fondamentale della teologia di ogni tempo. In tal modo la teologia può dialogare con la cultura in cui è chiamata ad annunciare la fede, in riferimento ai testi fondanti e a colui che in questi testi viene narrato e annunciato. E siccome il contesto moderno e postmoderno è un contesto critico, ove si incrociano filosofie diverse e metodi molteplici di ricerca, il teologo e la teologia devono farsi carico di presentare il Gesù storico in modo così plausibile da essere accettato anche da chi non crede. L'interpretazione credente di Gesù è talmente legata alla narrazione evangelica da non poterne essere separata. Non si deve infatti commettere l'errore di contrapporre i testimoni originari, da accogliere nella fede, e una storia di Gesù sganciata dalla fede. Il Gesù storico che si presenta è quel Gesù testimoniato e quindi interpretato, ma non inventato dai primi testimoni e da coloro che ne hanno tramandato le tradizioni fino alla redazione evangelica. Il non credente rifiuterà l'interpretazione credente dei testimoni originari, ma non può rifiutare i fatti storici e il fatto fondamentale del Gesù storico, oggetto di quella interpretazione. Pure lui, però, come storico dovrà registrare quella interpretazione di fede, anche se non la accetta come tale, perché fa parte della storia. 

    Nella «terza ricerca» mi sembra si sia chiarito, a livello di discussione, anche se non sempre nel Gesù degli storici, il legame necessario che intercorre fra kerigma e Gesù storico, fra storia di Gesù e teologia attuale: ad esempio l'influsso che ha sul dialogo ebraico cristiano o sul rapporto tra fede e impegno nell'amore al prossimo, nel sociale. La comprensione storica e teologica, conseguente alla fusione dei due orizzonti, quello del Gesù storico e quello del Signore vivente nella Chiesa, porta a benefiche conseguenze. Nella ricerca critica del mondo passato noi proiettiamo sempre istintivamente la nostra immagine, quando interpretiamo le fonti. Così scrive J. Schröter in un libro recentissimo: «Il contributo della ricerca di Gesù consiste nel fatto che, coscienti del carattere relativo della conoscenza storica, componiamo delle figure di Gesù che possono dimostrare plausibili i rapporti del cristianesimo delle origini con lui. In tal modo possiamo rendere componibili sia l'origine storica come anche quegli aspetti della fede cristiana che si spiegano col richiamo all'opera di Gesù» (Jesus und die Anfäànge der Christo­logie, Neukirchen 2001, p. 36). 

   Fede e storia, da Lessing in poi, sono state contrapposte in nome della ragione illuministica. Lessing vedeva un fossato invalicabile, "orrendo", tra verità della ragione, necessarie, e verità storiche, contingenti, e quindi tra fede in Cristo e storia di Gesù. G. Theissen considera l'attuale "terza ricerca" con il suo nuovo modello come un tentativo di gettarsi nelle profonde e gelide acque del fossato per tentare di raggiungere l'altra riva, quella della fede e della teologia. In verità, l'altra riva non sarà mai raggiunta dalla ricerca storica in quanto tale, ma per lo meno permetterà al credente di presentare le sue ragioni a fronte di chi la considerasse inesistente, anche se non potrà mai raggiungerla ma solo avvicinarla. In altre parole, la ricerca del Gesù storico ci avvicina alla persona storica di Gesù, quando la assumiamo come pertinente alla teologia, per quanto non sia suo compito. La storia di Gesù come tale né ci allontana né ci avvicina alla fede. Ma è legittimo oggetto di una fede in Gesù, desiderosa di conoscere sempre meglio il suo vero volto dalle fonti storiche passate, mentre ne esperimenta la sua presenza attuale. 

   Il ritorno alle fonti evangeliche non solo rende possibile il confronto con la cultura di oggi, ma è anche divenuto e diviene un principio innovatore della teologia stessa. 

   Il Gesù storico e Signore glorioso come tale sta al di là della storia, ma anche della teologia. Questa coscienza del limite della storia e della teologia ci preserva dall'errore di considerare detentori della verità su Gesù lo storico o il teologo. Solo in un dialogo fra loro, pur rispettando il metodo diverso, ci possono avvicinare alla verità totale su Gesù. Riflesso della postmodernità Ho presentato il paradigma storico teologico della "terza ricerca". Mi sembra che essa rifletta gli aspetti negativi e positivi della postmodernità, così da costituirne una figura particolare. 

   In breve: negativamente vi si riflette nella frammentazione della ricerca e nella conseguente frammentazione delle figure di Gesù presentate dai vari storici; positivamente, vi si riflette in una maggiore preoccupazione per le fonti documentàrie e per un'argomentazione critica, che può essere a sua volta criticata e quindi falsificata; e inoltre per un interesse sempre maggiore da parte della teologia. Il Gesù storico appartiene pienamente alla fede e alla teologia. 

  Giuseppe Segalla Bibliografia essenziale John P. Meìer, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico: 1 Le radici del problema e della persona (BTC, 117, Queriniana, Brescia 2001). 

  G. Segalla, "Gesù rabbi ebreo di Nazaret e Messia crocifisso", Studia Patavina 40 (1993) 463-515. 

  G. Segalla, "La verità storica dei vangeli e la 'terza ricerca' su Gesù", Lateranum 41(1995)195-234 (461-500). 

 DA VITA PASTORALE N. 3/2002 pag. 103-105