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Gesù e l'ambiente giudaico

Il mangiare e bere nella vita di Gesù 

   Nella lettura dei Vangeli ci si imbatte spesso in momenti in cui Gesù è invitato a pranzare in casa di amici, parenti, di farisei e finanche di peccatori. Non rifiuta nessun invito, tanto da venire anche accusato di essere "mangione e beone", (Mt 11,19- Lc 7,34). Ma spesso Gesù si serve di questi momenti per formulare importanti insegnamenti sulla salvezza. Delle volte è lui stesso a sentire l'esigenza di sfamare le folle che hanno lasciato le case e le città per ascoltare il suo insegnamento. Infine, con parole e miracoli, Gesù mostra solidarietà verso coloro che sono nel bisogno, annunciando che è importante condividere il pane con l'affamato. In altri momenti egli "condanna l'eccessiva preoccupazione per il cibo ed al tentatore che gli chiede di cambiare le pietre in pane, risponde che non "di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio"(Mt 4,4- Lc. 4,4).

   Ai suoi discepoli raccomanda di non affannarsi per quello che mangeranno o berranno perché Dio conosce le cose di cui hanno bisogno ed è disposto a darle a loro purché cerchino prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia (Cfr Mt . 6, 25 ss.) (Cfr. A Sacchi, Cibo, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.276).

   A Marta di Betania, preoccupata di servire il cibo e preparare la tavola per servirlo, Gesù apertamente dice di preferire Maria, la sorella che, accovacciata ai suoi piedi, è in ascolto della sua Parola.  

   Il cibo, nella vita di Gesù, assume un ruolo piuttosto marginale. Non solo, ma come già è stato detto all'inizio, il Maestro invita a condividerlo con coloro che ne sono privi, condannando l'ingordigia di chi non sa o non vuole farlo. L'evangelista Luca sottolinea, nel suo Vangelo questo aspetto importante dell'insegnamento del Rabbi di Galilea (Lc 16,19-31). Inoltre, il mangiare insieme con i peccatori fornisce a Gesù il momento proprizio per riconciliarli con Dio. A Zaccheo che si mostra pentito delle sue ruberie, egli proclama: "Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e salvare ciò che era perduto"(Lc 19, 1-10). Quando si crea una situazione di conflitto tra le norme religiose ed i bisogni fondamentali dell'uomo, Gesù sceglie sempre questi ultimi, dimostrando che, nel suo cuore, l'uomo viene prima di tutto. Il sabato per gli ebrei è giorno di festa, e quando durante un sabato gli apostoli, affamati, raccolgono le spighe di grano per mangiarle, incorrono nelle accuse dei farisei. Allora Gesù interviene giustificando i suoi discepoli con il ricorso ad un episodio biblico che narra del Re Davide che, avendo fame, aveva mangiato i pani dell'offerta riservati ai sacerdoti (Mc 2,23-28). Gesù denuncia anche le vuote abluzioni rituali che i farisei fanno prima dei pasti, dichiarando che tutti i cibi sono puri e "non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo"(Mc 7,15) (Cfr. A Sacchi, Cibo, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.277).

   "Alle nozze di Cana Gesù trasforma l'acqua in vino, mostrando così, mediante un gesto di amore e di solidarietà, che la salvezza finale è ormai disponibile a tutti gli uomini (Gv 2,1-11). Prima della passione, Gesù riceve a Betania, durante un banchetto, l'unzione che prefigura la sua morte e sepoltura (Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Gv 12,1-11) (Cfr. A Sacchi, Cibo, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.276).

    Dopo la sua risurrezione appare ai suoi amici, in questo luogo in riva al lago di Tiberiade e, dopo avere lui stesso arrostito del pesce per loro, li invita a mangiare. Ed è proprio nel contesto di questo banchetto che avviene uno dei dialoghi più belli e toccanti del messaggio evangelico: "Quand'ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: <<Simone di Giovanni, mi vuoi bene tu più di costoro?>>. Gli rispose: <<Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene>>. Gli disse: <<Pasci i miei agnelli>>. Gli disse di nuovo: <<Simone di Giovanni, mi vuoi bene?>>. Gli rispose: <<Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene>>. Gli disse: <<Pasci le mie pecorelle>>. Gli disse per la terza volta: <<Simone di Giovanni, mi vuoi bene?>>. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene?, e gli disse: <<Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene>>. Gli rispose Gesù: <<Pasci le mie pecorelle (Gv 21,15-17). E come nel pasto più importante della sua vita, quello dell'ultima cena, pur sapendo che avrebbe incontrato il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro e la fuga dei suoi amici, Gesù aveva donato tutto sé stesso, ora, al termine della sua missione terrena, nel pranzo consumato a Tabga, sulle rive del lago di Tiberiade, Gesù Risorto offre nuovamente, attraverso la comunione del cibo, la profonda, totale, riconciliazione con Dio, manifestata sublimamente in quel pane spezzato per amore la sera precedente la sua passione e croce. Ora Gesù è in cielo, dove ci prepara quel posto che, nell'immagine del "banchetto celeste, intende prefigurare la comunione più profonda tra l'umanità, redenta da Lui e ricreata nel cibo perenne del suo Corpo e del suo Sangue, ed il Padre Celeste che ci ha creato per primo e ci chiama all'eterna felicità.


Gesù e la cultura giudaica del suo tempo

   Gesù vive pienamente inserito nella cultura giudaica del suo tempo ed anche se apporta, con il singolare insegnamento ed il suo stile di vita, un soffio di rinnovamento nel mondo ebraico, non rifiuta certamente il messaggio trasmesso dalla Torah, la Legge di Dio così sentita in Israele. Quella stessa legge nella quale è stato educato e plasmato dai genitori e dalla scuola della sinagoga, egli è venuto a completarla, come leggiamo nel vangelo di Matteo: "Non sono venuto ad abrogare, ma a compiere" (Mt 5,17). Anche quando viene invitato a pronunciarsi sul primo e più grande comandamento della Legge, Gesù non fa altro che riferire alla lettera quanto è riportato nel Pentateuco, la raccolta dei primi cinque rotoli dell'Antico Testamento, ed incluso nello Shema' Israel, "Ascolta Israele", professione di fede del popolo ebraico: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze". Come secondo comandamento aggiunge l'amore del prossimo attingendo, ancora una volta, al Pentateuco e precisamente al libro del Levitico: "amerai il tuo prossimo come te stesso"(Lv 19,18). Gesù, quindi, "dimostra di ritenere valide per sé e, indirettamente per i suoi discepoli, le sacre scritture del popolo ebreo" (R. Penna, Cultura/Acculturazione in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p. 352). Anche la frase che troviamo spesso sulle sue labbra,"Come sta scritto", (Crf. Marco 7,6; 9,13; 11,17 ed altre ancora) non fa che citare la prima ed unica fonte scritta a cui il Rabbi di Israele fa continuamente riferimento: la Scrittura, ovvero: la Legge ed i Profeti. Anche Gesù è figlio del suo tempo e del suo popolo. Perciò vive le feste ed i riti della religiosità e della cultura ebraica del tempo, così come frequenta la sinagoga e il tempio. Prega da solo, molte volte appartato in luoghi solitari ed solitari, oppure in comunità. Recita lo "Shema'", le "Benedizioni" o "Tefillah", gli inni che son recitati nella comunità religiosa di Qumran, il "Qaddish" al quale, forse, Gesù si è in parte ispirato quando ha insegnato la preghiera del Padre nostro (Cfr. Emilio Rasco, Il "Padre nostro" di Matteo e Luca, in Storia di Gesù, ed. Rizzoli, vol. 3, pag. 1065). 

    Nell'ultima Cena Gesù si mantiene fedele al rituale della cena pasquale ebraica, innestando nel vecchio rito, le sue parole di salvezza e comunione. Ed al memoriale della Pasqua ebraica ha voluto sostituire il nuovo memoriale della presenza del suo Corpo "dato" per noi e del suo sangue "versato" per la nostra salvezza. Il tipo di comunità, maestro-discepoli, che Gesù ha fondato e guidato fino alla sua morte, ha molti fattori in comune con il tipo e l'insegnamento delle scuole rabbiniche del tempo, distanziandosi da esse per la novità prorompente scaturita dal suo messaggio. 

   Smentendo chiaramente l'attesa degli ebrei di un "Regno di Dio" ancora lontano da venire, Gesù afferma che esso è già in parte realizzato e presente nella scena del mondo. Lo attestano i prodigi e le guarigioni da lui operate. Ma ci sono altre sostanziali divergenze del pensiero di Gesù rispetto alla cultura giudaica contemporanea. Alcune di queste si riferiscono al "titolo di "Figlio dell'uomo", alla polemica di Gesù sul puro e impuro: "non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo"(Mc 7,15); all'originalità ed alla tecnica delle sue parabole, ai suoi discorsi e detti. E ancora, alle sue originali prese di posizione, ad alcuni comandamenti che Gesù completa conferendo così, al suo messaggio, un respiro ed una portata universale. Così, mentre a Qumran, uno dei fari della religiosità ebraica, si predica l'odio verso i nemici, Gesù sulla montagna che sovrasta il lago di Tiberiade, quasi ripetendo il gesto solenne di Mosé sul Sinai, ponendosi anzi su un piano superiore rispetto a Mosé, insegna il comandamento dell'amore per i nemici: "ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste (Mt 5,44-48). 


Il "Rabbi di Galilea di fronte ai partiti del suo tempo 

   Per noi che viviamo in un Paese dove la politica fa troppo spesso a meno di Dio e del fenomeno religioso, non è facile capire la cultura politica e religiosa del mondo ebraico del primo secolo. Infatti la vita culturale e politica del popolo di Israele, e particolarmente di quello abitante nella Giudea, al tempo di Gesù, a causa della sua schietta vocazione teocratica, si identifica nella stessa vita culturale e religiosa che, come una spirale concentrica, verte attorno al Tempio di Gerusalemme. In questo contesto storico la vita culturale, politica e religiosa è animata da alcuni partiti, movimenti, o correnti di pensiero: i farisei, i sadducei, gli esseni, gli zeloti. 

    I vangeli presentano i farisei come "ipocriti", il termine col quale Gesù li identifica spesso, formalisti fino all'eccesso, e poiché mostrano un grande rispetto per la Torah, la Legge di Dio, essi sono tenuti in grande considerazione dal popolo. Ma questo rispetto, questo eccessivo attaccamento alla lettera e non allo spirito della Legge, li pone spesso in contrasto con Gesù che li accusa di legare "fardelli pesanti e insopportabili e li mettono sulle spalle degli altri, ma essi si rifiutano di smuoverli con un dito"(Mt 23,24). Un comportamento, quindi, che li porta a "una degenerazione nell'osservanza della Legge, riducendola a una mera formalità" (Dizionario Enciclopedico della Bibbia e del mondo Biblico, ed. Massimo, p.290). Sarà per questo motivo che Gesù si opporrà ad essi con tutta la sua persona. 

   Il partito dei sadducei ha un grande potere nel tempio di Gerusalemme ed in tutta la Giudea. E ciò grazie al tempio ed alla persona del sommo sacerdote, capo della nazione e presidente del Sinedrio, il tribunale religioso dove i sadducei godono di grande autorità, contrapponendosi all'altro grande partito dei farisei. Essi rappresentano quasi esclusivamente l'aristocrazia sacerdotale, ma non è detto che fossero tutti sacerdoti, tutti aristocratici e residenti in Gerusalemme. Però si ritiene che avessero seguaci e simpatizzanti anche in altre classi sociali (Cfr. L. Moraldi, Giudaismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p. 700). E poiché hanno con il dominatore romano un rapporto di mutua collaborazione, sono ben attenti ad intervenire la dove c'è il rischio di agitazioni politiche e di nuovi movimenti religiosi che possano turbare l'establishment. 

   Anche dal punto di vista religioso i sadducei sono profondamente conservatori riconoscendo della Bibbia solo il Pentateuco, i primi cinque libri, e attenendosi solo ad una interpretazione letterale della Torah. Contrariamente ai farisei che credono nella risurrezione dei morti, essi rifiutano tale idea. Anche i sadducei, seppure per motivi diversi, hanno a che fare con Gesù Cristo. Egli caccia i venditori del tempio, turbando il precario equilibrio dei rapporti instaurati all'interno del tempio. 

   Gesù viene accolto dalle folle con manifestazioni di giubilo ed acclamato come Messia di Israele. Cosa che non fa certo piacere ai sadducei, sempre tesi a "tutelare", a modo loro ovviamente, la nazione ebraica, mantenendosi in rapporto di amicizia col potere romano. E una delle concause principali dell'arresto e della crocifissione di Cristo è da ricercare nella loro preoccupazione per la tranquillità della nazione turbata da questo "Maestro" proveniente dalla Galilea. 

   Alla corrente degli zeloti appartengono, invece, quelle frange inquiete ed estremistiche del popolo ebraico, totalmente ribelli a Roma e assertori di una teocrazia in Israele che significhi l'eliminazione di ogni presenza pagana. La ribellione del 66 dopo Cristo e la resistenza ebraica a Masada, nei pressi del mar Morto, saranno gli ultimi atti di un movimento che scomparirà definitivamente con la Diaspora ebraica. Anche tra i discepoli di Gesù c'è uno che è stato Zelote: Simone il Cananeo (Lc. 6,15). 

   Chiudiamo, infine, con quello che forse è il movimento più vicino a Gesù di Nazareth: quello degli Esseni. Essi vivono piuttosto ai margini della religiosità ufficiale ebraica e risiedono in luoghi solitari, piccole o grandi comunità, come per esempio quella di Qumran, dove vige una particolare organizzazione cultuale e dove sono stati scoperti, nel 1948, i celebri rotoli del mar Morto.    

   Pur avendo dei punti di contatto con la corrente dei farisei, come l'accettazione del giudaismo tradizionale, essi però se ne distanziano intendendo la vita religiosa in maniera più pura e distaccata dalla gerarchia religiosa e dalla classe giudaica dominante. Ed è per questo che molti di loro si ritirano nel deserto, nell'attesa di un intervento straordinario di Dio. 

   Sono loro, gli esseni, a coniare i termini "Figli della luce" in cui si identificano, e figli delle tenebre, in cui identificano il mondo intorno a loro. Concetti che noi vediamo ripresi nei Vangeli, a testimonianza che forse Giovanni Battista e lo stesso Gesù sono venuti in contatto con loro. Ma il pensiero e l'insegnamento di Gesù è diverso da loro. Infatti mentre la Regola degli esseni sentenzia: "Amerai il tuo prossimo" e odierai il tuo nemico, Gesù proclama: "amate i vostri nemici, pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro..."(Mt 5,43-45).

   Gli esseni sono convinti della prossimità della fine del mondo e si aspettano un futuro paradisiaco su questa terra. Piace riportare quanto scrive, a proposito di loro, Plinio il Vecchio: "A occidente (del Mar Morto) gli esseni si tengono lungi dalle rive per quanto sono nocive. E' un popolo unico nel suo genere e ammirevole nel mondo intero più di tutti gli altri: non ha donne, ha rinunziato interamente all'amore, è senza denaro, amico delle palme. Di giorno in giorno rinasce in ugual numero, grazie alla folla dei nuovi venuti"(Plinio il Vecchio, Natur. Hist. V 15,73, in L. Moraldi, Giudaismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p. 700). 

   L'apparizione di Gesù nella società ebraica si manifesta come un evento singolare e sconvolgente. La coscienza di essere il Figlio dell'uomo gli conferisce un'autorità senza precedenti. Di fronte alla Torah, la Legge di Dio alla quale tutte le correnti politiche e religiose di Israele fanno riferimento, Egli assume, di volta in volta, atteggiamenti diversificati, interpretandola a volte anche in senso rivoluzionario e scandaloso per i suoi uditori, così come altre volte ne attenua i contenuti, oppure li inasprisce, fino ad abrogare certe osservanze rituali. Alcune prescrizioni morali (Mt 5-7), invece sono rese più rigorose dal Maestro. In piena sintonia con i profeti di Israele, Gesù stabilisce una stretta gerarchia tra i comandamenti, interiorizzando e spiritualizzando l'etica giudaica. Al di là delle azioni scruta le intenzioni e tiene in maggior conto la rettitudine della mente che non l'esteriore correttezza di un formale legalismo (Cfr. L. Moraldi, Giudaismo, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p. 700). 

    In un mondo ebraico in perenne fibrillazione di idee e movimenti, Gesù di Nazareth segue un suo cammino religioso che non si identifica con nessuno dei movimenti politico-religiosi di Israele. Anzi il suo insegnamento, la sua predicazione, pur ispirandosi, per certi versi, all'insegnamento rabbinico, se ne distanzia nettamente per il contenuto e la sostanza, tracciando, nel turbinoso vortice della società ebraica del primo secolo, una via maestra nella quale il Dio maestoso e solenne dell'Antico Testamento si rivela compiutamente, svelando il suo volto misericordioso e vicino all'uomo di tutti i tempi. 


Gesù di fronte alla liturgia ed al culto ebraico        

   Gesù di Nazareth si sente veramente inserito nella cultura, nel pensiero, nel culto ebraico del suo tempo, ma la sua fedeltà comporta, nel contempo, una libertà che postula la coscienza di sentirsi superiore alla Torah, la Legge di Dio raccolta nei primi cinque rotoli della Bibbia. 

   Gesù frequenta la sinagoga ed il tempio; si reca a Gerusalemme per le feste, ma, nei Vangeli, non si ha alcuna testimonianza della sua partecipazione ai sacrifici cultuali. Anzi, sulla scia del movimento spirituale suscitato dai profeti di Israele, dichiara di preferire la misericordia ai sacrifici (Mt 9,13; 12,7). 

   Anche in riguardo ai veri e propri atti di culto nel tempio, i Vangeli sono avari di notizie, per cui abbiamo ragione di credere che, diversamente dalla tradizione religiosa del tempio, imperniata sul sacrificio e sull'oblazione ridotte ormai a pratiche vuote e formali alle quali non fa riscontro la fedeltà a Dio e l'osservanza dei comandamenti (A. Sacchi, Animali, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.81), il culto del Rabbi di Galilea è profondamente interiorizzato nell'amore e contemplazione del Padre: "Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità>> (Gv 4.23-24). 

   A questa considerazione bisogna anche aggiungerne un'altra: Gesù mostra di avere la consapevolezza di essere su un piano superiore, non solo rispetto ad ogni pio ebreo, ma anche ai sacerdoti, agli scribi, ai dottori della Legge, ai Maestri di Israele. Egli ha l'intima convinzione di identificarsi nel " vero spazio dell'incontro [tra Dio e l'uomo] e della salvezza dell'uomo stesso. Ecco perché concede il perdono dei peccati indipendentemente da qualsiasi liturgia penitenziale e da qualsiasi sacrificio al tempio (cfr. Bruno Maggioni, Liturgia e Culto, in Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, ed. Paoline, p.844). E, se da una parte si mostra attento a far ottemperare le norme giudaiche come il pagamento del tributo del tempo, per non scandalizzare i giudei in caso di un suo ipotetico rifiuto, dall'altra appare spesso in polemica con il tempio (Mc 11,15ss; Gv 2,13ss), ovvero con coloro come i sacerdoti, gli scribi, i dottori della legge, i farisei, il Sinedrio, che detengono il potere religioso del centro della religiosità ebraica. 

    Abbiamo detto che Gesù frequenta la Sinagoga ed il tempio di Gerusalemme e partecipa alle grandi feste religiose del suo popolo come la Festa dell'anno nuovo, il Giorno delle espiazioni, la festa dei Tabernacoli o delle Capanne, la festa della Dedicazione del tempio (Cfr. Gv 16,22), quella degli Azzimi, cioè la Pasqua, e la festa delle settimane, o Pentecoste, che si celebra cinquanta giorni dopo Pasqua. Ed è proprio nelle feste che la presenza di Gesù a Gerusalemme diviene particolarmente pregna di significato, sìcché, come gli antichi profeti approfittavano proprio delle feste per parlare solennemente alla coscienza del popolo di Israele, così Egli innesta nel clima celebrativo delle feste, il suo messaggio prorompente ed innovativo di una religiosità che parte dal profondo del cuore e si interiorizza profondamente nella vita e nelle opere di chi vorrà accogliere la sua Parola: "Nell'ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù levatosi in piedi esclamò ad alta voce: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». Questo egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non c'era ancora lo Spirito, perché Gesù non era stato ancora glorificato"(Gv 7,37-39). 

    La festa più importante per gli Ebrei, la Pasqua, è celebrata a Gerusalemme: in parte nel tempio, in parte a casa oppure in locali che possono trovarsi in città o nelle vicinanze. Dai racconti evangelici emergono particolari che lasciano arguire come Gesù sia stato fedele al rito ebraico della celebrazione della Pasqua. <<Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio>>. E preso un calice, rese grazie e disse: <<Prendetelo e distribuitelo tra voi, poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio>>. Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: <<Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me>> (Lc 22,14-19). "I due gesti di Gesù, il gesto del pane e del vino , si inseriscono in un quadro rituale già esistente nel giudaismo; la benedizione prima del pasto (con il pane) e la benedizione alla fine (con la coppa). I due gesti di Gesù appaiono in profonda continuità con il giudaesimo, e tuttavia sono nuovi, perché diventano segni del suo sacrificio. "Celebrando l'ultima Cena con i suoi Apostoli durante un banchetto pasquale, Gesù ha dato alla pasqua ebraica il suo significato definitivo. Infatti, la nuova Pasqua, il passaggio di Gesù al Padre attraverso la sua Morte e la sua Risurrezione, è anticipata nella Cena e celebrata nell'Eucaristia, che porta a compimento la pasqua ebraica e anticipa la pasqua finale della Chiesa nella gloria di Dio" Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria editrice Vaticana, n. 1340, pag. 349). 

   "Quando Gesù comanda di ripetere i suoi gesti e le sue parole <<finché egli venga>> (1 Cor 11,26), non chiede soltanto che ci si ricordi di lui e di ciò che ha fatto. Egli ha di mira la celebrazione liturgica, per mezzo degli Apostoli e dei loro successori, del memoriale di Cristo, della sua vita, della sua Morte, della sua Risurrezione e della sua intercessione presso il Padre"Catechismo della Chiesa Cattolica, Libreria editrice Vaticana, n. 1341, pag. 349).