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Tertulliano (160 - 220)

   Nato verso il 160 a Cartagine quale figlio di un centurione, Quinto Settimo Fiorenzo Tertulliano si fece cristiano in età già matura, mentre esercitava, come sembra, la professione di avvocato. Non è verosimile che sia diventato presbitero nella comunità cartaginese (come vorrebbe Girolamo, De viris ill. 53)

   Tertulliano era molto versato nella retorica e nella giurisprudenza, pieno di spirito, di fantasia, e di umorismo, di un'eloquenza travolgente, ma spesso oscuro nello stile, abilissimo nel creare nuovi vocaboli, carattere ardente, disarmonico («ardens vir», Girolamo, Ep. 84,2), rigido nel pensiero e nell'azione. Forse anche per questo, nel 207 si avvicinò al montanismo, il cui nucleo “consisteva in attese escatologiche collegate a uno sfrenato entusiasmo religioso e a un sistema rigoristico di vita”(Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L'antichità cristiana, Ed. Morcelliana, 1973, 199.) . Ma anche come montanista difese strenuamente e abilmente il Credo della Chiesa e nella dottrina della Trinità e nella cristologia.

   Numerose sono le opere di Tertulliano (31 autentiche conservate) e riguardano in parte la difesa del cristianesimo contro il paganesimo e il giudaismo, in parte la difesa dalle eresie, in parte quella della morale cristiana, rispettivamente montanista, e dell'ascesi.

   Tra le opere apologetiche spiccano: «Ad nationes»,  «Apologeticum» probabilmente derivato dall'«Octavius» di Minucio Felice, e la piccola operetta  «De testimonio aniamae». Tra le opere dogmatico-polemiche:  «De Praescriptione haereticum»(della eccezione giuridica contro gli eretici) con un'esposizione eccellente del principio di tradizione nella Chiesa), «De baptismo»,  «De anima», una specie di psicologia cristiana, che ha largamente attinto all'opera del medico greco Sorano di Efeso,  «Adv Marcionem», e  «Adv Praexan». Le opere principali del gruppo pratico ascetico del primo periodo di Tertulliano, sono:  «De oratione»,  «De peonitentia»,  «De spectaculis»,  «De cultu feminarum»,  «Ad uxorem»,(Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L'antichità cristiana, Ed. Morcelliana, 1973, 254ss.), e altre, tra cui segnalo "«De carne Christi» e «De resurrectione carnis"

   (Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/quinto-settimio-florente-tertulliano/)..    

   Dall'Apologetico di Tertulliano (CAPO: 17-39-50)

   Il sangue dei martiri è semenza di Cristiani.

   CAPO 17

   Il Dio dei Cristiani.

   1. Ciò che noi adoriamo, è un Dio unico, che tutta codesta mole, insieme a tutto il corredo di elementi, corpi, spiriti, con la parola con cui comandò, con la ragione con cui dispose, con la virtù con cui potè, dal nulla trasse fuori a ornamento della sua maestà; onde anche i Greci all'universo dettero il nome di "kòsmos".

   2. Esso è invisibile, sebbene si veda; inafferrabile, sebbene per grazia si renda presente; incomprensibile, sebbene si lasci dalle facoltà umane comprendere: per questo è vero e così grande. Il resto che comunemente si può vedere, afferrare, comprendere, minore è degli occhi da cui è abbracciato, della mano con cui viene a contatto, dei sensi da cui viene scoperto.

   3. Invece ciò che è incommensurabile, solo a se stesso è noto. Questo è ciò che Dio fa comprendere, il fatto che di essere compreso non cape; così l'immensità della sua grandezza agli uomini lo presenta noto e ignoto. E in questo sta la colpa principale di coloro che riconoscere non vogliono Colui, che ignorare non possono.

   4. Volete che lo proviamo dalle di Lui opere, tante e tali, onde siamo circondati, sostentati, allietati, spaventati anche? Volete che lo proviamo in base alla testimonianza dell'anima stessa?

   5. La quale, pur nel carcere del corpo serrata, pur da insegnamenti pravi circondata, pur da passioni e concupiscenze svigorita, pur a false divinità asservita, tuttavia, quando ritorna in sè come dopo l'ubriachezza o un sonno o qualche malattia, e il possesso riprende della sua condizione sana, fa il nome di Dio, con questa sola parola, poiché è propria del Dio vero: e 'Dio buono e grande', e 'quello che a Dio piacerà' sono le parole di tutti. 6. Anche quale giudice lo attesta: 'Dio vede' e 'a Dio mi affido' e 'Dio me lo renderà'. O testimonianza dell'anima naturalmente cristiana! In fine, pronunciando queste parole, non al Campidoglio, ma al cielo volge lo sguardo. Conosce infatti la sede del Dio vivente: da Lui e di là essa è discesa.

   CAPO 39

   Di che genere sono le riunioni e le attività dei Cristiani: preghiere, lettura della Santa Scrittura, giudizi, contribuzione volontaria per aiutare i bisognosi, atti di amore fraterno, pasti innocenti in comune.  

   CAPO 50

   La vittoria nel resistere alle vostre persecuzioni è nostra. Continuate pure. Il sangue dei martiri è semenza di Cristiani. 1. 'Dunque - voi dite - perché vi lamentate che noi vi si perseguiti, se patire volete, mentre amare coloro dovreste, per opera dei quali patite quello che volete?'. - Certo noi patire vogliamo, ma alla maniera, in cui, anche, la guerra il soldato patisce. Nessuno, invero, volentieri la patisce, essendo necessario trepidare e correre pericolo. 2. Tuttavia e combatte con tutte le forze e, vincendo in battaglia, gode colui che della battaglia si lamentava, perché gloria consegue e preda. Battaglia è per noi il fatto di essere davanti ai tribunali chiamati, per combattere là, con pericolo di morte, per la verità. Vittoria è poi conseguire quello, per cui si è combattuto. Quella vittoria e contiene la gloria di piacere a Dio e la preda di vivere eternamente. 3. 'Ma abbiamo la peggio'. - Però, dopo aver conseguito. Dunque siamo noi che abbiamo vinto, quando ci si uccide. Finalmente ne siamo fuori, quando abbiamo la peggio. Potete ora esseri da sarmenti chiamarci e gente da mezzo asse, perché, legate dietro le mani a un palo fatto di un asse dimezzato, veniamo circondati da sarmenti e bruciati. Codesto è il portamento proprio della nostra vittoria, questa la veste palmata, tale il cocchio sul quale trionfiamo. 4. Giustamente, dunque, noi non si piace a dei vinti: per questo infatti dei disperati e dei perduti reputati siamo. Ma questi atti propri di gente perduta e disperata, tra voi il vessillo innalzano del valore, quando è in causa gloria e fama. 5. Mucio la sua destra volonteroso su l'ara lasciò: o animo sublime! Empedocle dono di sè interamente fece alle fiamme dell'Etna: o anima vigorosa! Una fondatrice di Cartagine il secondo matrimonio sacrificò al rogo: o esaltazione della castità! 6. Regolo, per non vivere egli solo e il vantaggio fare di molti nemici, tormenti in tutto il corpo patisce: o eroe, vincitore pur nella prigionia! Anassarco, venendo pestato a morte con un pestello da orzata, 'Pesta, pesta - diceva - l'involucro di Anassarco, ché Anassarco non pesti': o grandezza d'animo del filosofo, che su tale sua morte anche scherzava! 7. Tralascio coloro che con la propria spada o un altro genere più mite di morte la gloria patteggiarono. Ecco, infatti, anche gare di tormento sono da voi coronate. 8. Una meretrice ateniese, dopo avere stancato ormai il carnefice, da ultimo la lingua sua troncata in faccia al tiranno inferocito sputò, per sputar fuori anche la voce, al fine di non poter rivelare i congiurati, anche se, vinta, avesse voluto farlo. 9. Zenone di Elea, da Dionisio interrogato che cosa la filosofia procurasse, rispose: 'Il disprezzo della morte'. - Sottoposto dal tiranno allo staffile, impassibile la sua sentenza suggellava fino alla morte. Certo le fiagellazioni dei Laconi, rese anche più penose perché sotto gli occhi dei parenti incoraggianti a resistere, conferiscono alla casa tanto onore di resistenza, quanto è il sangue che hanno sparso. 10. O gloria lecita, perché umana, per cui né a presunzione rovinosa, né a persuasione disperata si attribuisce il disprezzo della morte e delle atrocità di ogni specie; talché per la patria, per la potenza, per l'amicizia patire lice tanto, quanto non lice per Dio! 11. E intanto a tutte quelle persone e statue profondete e su le loro immagini inscrizioni ponete e titoli incidete per procurar loro l'immortalità. è chiaro: per quanto potete farlo con i monumenti, voi pure ai morti una resurrezione in certo modo procurate. Colui, invece, che questa resurrezione veracemente spera da Dio, qualora per Dio patisca, è un folle. 12. Ma continuate pure, o buoni governatori: ché molto migliori agli occhi del popolo diventerete, se dei Cristiani gli immolerete. Tormentateci, torturateci, condannateci, stritolateci: la vostra iniquità infatti della nostra innocenza è prova. Per questo Dio tollera che noi codesto si patisca. E invero anche recentemente col condannare una Cristiana al lenone, piuttosto che al leone, avete confessato che la macchia recata al pudore più atroce di ogni castigo e di ogni morte è tra di noi considerata. 13. Né tuttavia giova a nulla ogni vostra più raffinata crudeltà: è piuttosto un'attrattiva alla setta. Più numerosi diventiamo, ogni volta che da voi siamo mietuti: è semenza il sangue dei Cristiani. 14. Molti tra di voi il dolore e la morte a sopportare esortano, come Cicerone nelle Tusculane, come Seneca nei Casi fortuiti, come Diogene, come Pirrone, come Callinico. Né tuttavia le parole tanti discepoli trovano, quanti i Cristiani ne ottengono ammaestrando con i fatti. 15. Quella stessa ostinazione che ci rimproverate, fa da maestra. Chi, infatti, considerandola, non si sente scosso a ricercare che cosa ci sia in fondo alla cosa? E quando ha indagato, chi non vi accede?. E quando vi è acceduto, chi non brama patire, per acquistarsi la pienezza della grazia di Dio, per ottenere intero da lui il perdono a prezzo del proprio sangue? 16. Ché tutte le colpe a questo atto sono condonate. Da ciò il fatto che lì sul posto, noi vi rendiamo grazie per la vostra sentenza. Come v'è contrasto fra il divino e l'umano, quando da voi siamo condannati, da Dio siamo assolti. 

Fonte:  http://www.monasterovirtuale.it/