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La Famiglia  e il parentado

   Gesù e Maria, sua Madre, a Cana di GalileaDai Vangeli traspaiono dati sconcertanti circa il rapporto di Gesù con la famiglia e la cerchia dei parenti. Ciò che fa particolarmente riflettere, scorrendo le pagine dei quattro vangeli canonici, è che a registrare queste “incomprensioni” sono particolarmente Marco e Giovanni; quelli, cioè, che rappresentano il primo e l’ultimo della serie di libri canonici sulla vita di Gesù. Si tratta di testi che sono stati posti per iscritto a distanza di decenni l’uno dall’altro, a dimostrazione che nelle varie comunità cristiane era un conosciuta una certa tensione tra il Gesù prepasquale ed il suo ambiente familiare.

   Nel vangelo di Marco, quello più arcaico e quindi più vicino alla figura storica di Gesù, troviamo una prima traccia di questa tensione: "Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo. Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «E` fuori di sé»"[1].

   Dire “è fuori di sé”, è come dire: “è folle”, o "è stravolto". Un’espressione decisa, risoluta, quella dei “suoi”, che Marco ha registrato ipso facto nel suo vangelo, forse perché è stato lo stesso Pietro a parlarne in qualche occasione.

   I parenti vogliono riportare Gesù a casa, nella sua città. Lo stesso evangelista, che ha posto per iscritto l’episodio, non spiega il motivo di questa incomprensione. Ma, in alcuni versetti successivi a quelli che abbiamo letto, è forse adombrata la spiegazione della tensione tra Gesù ed i suoi: "Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: «Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano». Ma egli rispose loro: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: «Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»"[2].

   Anche se qualcuno potrebbe spiegare la risposta di Gesù con la sua propensione a predicare attingendo non solo all’ambiente circostante, ma anche ai dialoghi improvvisati con la gente, specialmente quando gli offrono l’occasione di dare un insegnamento, è lecito pensare che Gesù abbia detto, in questa occasione, “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre»” per significare che i suoi non si comportavano da fratello, sorella o madre. La sua risposta rende manifesto un rapporto non proprio idilliaco tra lui ed i suoi parenti, altrimenti anche altre espressioni, come “E’ fuori di senno” non sarebbero passate nella tradizione scritta. Ci sarebbe, quindi, un certo senso di diffidenza, se non proprio di contrarietà, dei parenti, verso Gesù, a causa dell’impronta particolarissima, originale che egli ha conferito alla sua missione. 

   La spossante attività di girovago, la sua predicazione aperta a tutti, anche ai peccatori, la disponibilità di tempo illimitata, per cui succede che lui ed i discepoli non abbiano neanche il tempo riposarsi e di mangiare[3]. Un atteggiamento che può non essere, certamente, condiviso dai “suoi”.

   Attraverso la lettura del Vangelo di Giovanni emerge, però, un altro tipo di interpretazione, che se conferma, almeno in parte, le notizie di Marco, mostra, però, una diversa spiegazione dello stato d’animo dei familiari e dei parenti di Gesù. Essi sembrano non comprendere la sua "discrezione"; l'apparente contraddizione tra la sua pretesa messianica ed il suo ritirarsi dalle folle che lo vogliono re, per cui lo invitano apertamente a manifestarsi come Messia di Israele.

   Un momento privilegiato per affermare la sua Messianicità, l'affermare solennemente di essere l'Inviato di Dio, il liberatore d'Israele, potrebbe essere proprio l'annuale festa delle Capanne, detta pure “dei Tabernacoli”, durante la quale le folle sono facilmente preda di entusiasmi messianici. Invero, questa festa gioiosa ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall’Egitto, ed in linea con lo stile degli antichi profeti che scelgono queste occasioni per parlare alla coscienza di Israele, anche per Gesù potrebbe essere giunta l’ora di manifestarsi solennemente come Messia di Israele. Questa, per lo meno, potrebbe essere l’idea del suo clan, come appare dal testo che leggiamo: “Dopo questi fatti Gesù se ne andava per la Galilea ; infatti non voleva più andare per la Giudea , perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, detta delle Capanne; i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e và nella Giudea perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo!». Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. Gesù allora disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto, il vostro invece è sempre pronto. Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di lui io attesto che le sue opere sono cattive. Andate voi a questa festa; io non ci vado, perché il mio tempo non è ancora compiuto»"[4].

    Come si può notare, è evidente, una condotta ambigua dei parenti che, se da un lato rivelano un certo comportamento incredulo verso Gesù, dall’altro, questo stesso atteggiamento postula l’invito a manifestarsi apertamente al mondo, come Messia di Israele, e cozza, con il contegno discreto di Gesù, probabilmente alle prese con la più drammatica delle scelte; la più tremenda delle tentazioni: la prospettiva di scegliere un messianismo politico oppure squisitamente religioso? Una domanda alla quale cercheremo di rispondere nel capitolo dedicato alla crisi in Galilea. Impressiona, però, in questo testo, l’espressione dura dell’evangelista: “Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui”. 

   Cosa può significare questo? Che l’ostracismo verso Gesù sia generato da quei “normali” sentimenti di invidia che provano i parenti poveri rispetto ad uno di loro divenuto famoso e potente? Potrebbe essere. Nell'ambiente di un villaggio, di un paese o anche di una piccola città rurale come Nazareth, l'improvvisa fama, la celebrità, di uno dei suoi abitanti, oltre che i Segni straordinari operati altrove, può provocare, d'acchito, un senso d'invidia e di diffidenza. Proprio ciò che è pronunciato dall’espressione che leggiamo nel Vangelo di Marco: "Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»"[5].

   Dal racconto evangelico emerge una tensione latente tra Gesù ed i Nazaretani. Una situazione che sfocia addirittura in un tentativo di omicidio, come leggiamo in un analogo episodio riportato dal terzo evangelista: “…si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò”(Lc 4,29-30).

   Nel racconto di Luca appare a tinte forti questo sentimento di rifiuto che pervade i Nazaretani nei confronti di Gesù. Un'opposizione a tratti violenta, come abbiamo visto ora, e che si riverbera, nel contempo, anche nei sentimenti del suo stesso clan. E la fama di Maestro ed operatore di miracoli, che lo accompagna in questo suo ritorno a Nazaret, non fa che acuire la diffidenza dei suoi, alimentata, peraltro, dalla loro normale aspirazione a vivere una vita serena e tranquilla, nell'ambiente quotidiano della famiglia e del clan, senza palesi motivi di discussione con gli altri clan che abitano questo villaggio collinare della Galilea.

  E’ forse questo il motivo di fondo della tensione tra Gesù ed il suo parentado? Sarebbe una spiegazione molto verosimile. Si tratta, in fondo, di gente abituata a vivere e lavorare tranquillamente nella quiete delle botteghe o dei campi, e che invece si vede al centro dell'attenzione del villaggio. Gente che teme, nondimeno, un atteggiamento ostile da parte della comunità, se non proprio dell'autorità religiosa di Gerusalemme. Per di più, consapevole del modo con cui Gesù si espone pubblicamente, assumendo anche un atteggiamento polemico verso i partiti potenti come gli scribi ed i farisei, il clan è vivamente preoccupato per sé e, nello stesso tempo, per l'incolumità dell’illustre parente.

    Ad un occhio attento, considerate valide anche le altre ipotesi presentate, sembrano proprio questi i motivi di una diffidenza iniziale che coinvolge, in questo discorso, la stessa figura della Madre di Gesù. In tale situazione, diventa difficile per qualche studioso trovare la collocazione di Maria[6]. Ma è bene ricordare che la situazione della donna nella società Palestinese è molto diversa da quella di oggi, dove la donna vive l’età migliore della sua storia. 

   Consapevoli del ruolo marginale della donna nella società Palestinese del primo secolo, vogliamo pensare che Maria si veda costretta, suo malgrado, a subire, nei suoi confronti e verso Gesù, l'influenza severa ed il giudizio, tipicamente maschilista del mondo ebraico, da parte degli uomini del parentado.

   Solo col tempo, specialmente dopo l’esperienza della pasqua, la famiglia di Gesù cambierà gradualmente atteggiamento nei suoi confronti. Anzi alcuni parenti, come Giacomo, chiamato il Giusto, assumeranno un ruolo prioritario nella comunità cristiana primitiva.

   Ma chi sono i membri di questa famiglia che tutti i cristiani riconducono all’immagine idilliaca di Gesù, Giuseppe e Maria, la santa Famiglia di Nazaret?

   Certamente non si limita qui la composizione della famiglia di Gesù, anche perché nella società ebraica è molto forte e preminente la funzione del clan.

   Quando Gesù comincia la sua vita pubblica, sicuramente Giuseppe non è più in vita, poiché non viene più menzionato tra gli intimi di Gesù. I Vangeli[7] fanno riferimento alla Madre ed ai fratelli di Gesù(Mt 12,46; 13,55; Mc 3,31).

   Dopo aver operato il miracolo di Cana, Gesù “discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono colà solo pochi giorni”(Gv 2,12). Anche qui si dice che la madre ed i fratelli seguono Gesù a Cafarnao, ma del padre non si dice nulla.

   Anche negli Atti degli apostoli sono nominati la madre di Gesù ed i suoi fratelli, mentre non si accenna al padre: "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui"[8].

   Chi sono i "fratelli" di Gesù nominati nei vangeli e negli Atti? 

   Sono veramente fratelli di sangue? Oppure il termine fratelli indica anche un rapporto di parentela in senso più ampio, intendendo, in tal modo, il termine fratello come cugino?

   Il primo a rispondere a questo interrogativo è un autore postapostolico, Egesippo, vissuto nel II secolo, probabilmente originario della Palestina e conoscitore del greco, dell'ebraico e del siriano. Nei suoi scritti lascia capire che coloro che i Vangeli chiamano "fratelli del Signore" siano in realtà suoi cugini.  Nella seconda metà del II secolo si fa strada, invece, l'opinione che i fratelli di Gesù siano in realtà figli di un precedente matrimonio di Giuseppe, quindi sarebbero fratellastri. Un'ipotesi accettata nelle Chiese orientali, ma non in quella occidentale. 

   Il tema è ripreso da San Girolamo (IV secolo) il quale, da ottimo conoscitore dell'ambiente e della lingua ebraica, respinge la tesi che si tratti di fratelli o fratellastri di Gesù, giungendo alla conclusione avanzata da Egesippo. Si tratta dei cugini del Maestro, cioè di appartenenti al clan familiare di Maria. Girolamo sostiene questa tesi nell'opera De perpetua virginitate, polemizzando aspramente contro un tale Elvidio, suo contemporaneo (IV secolo), che affermava trattarsi invece di figli avuti da Maria e Giuseppe successivamente rispetto a Gesù, tesi sostenuta anche da alcuni esegeti moderni. Uno degli argomenti addotti era la frase del Vangelo di Luca in cui si dice che Maria «diede alla luce il suo primogenito», Gesù (2,7). È, però, da notare che il termine «primogenito» - come precisa Gianfranco Ravasi - ha di per sé valore giuridico e sottolinea i diritti biblici connessi alla primogenitura. Curiosamente in un documento aramaico del I secolo si parla di una madre (di nome Maria essa pure) che morì dando alla luce «il suo figlio primogenito»[9]. A tal proposito mons. Gianfranco Ravasi ha scritto sull’Avvenire del 24 novembre 2002: “L'esegesi storico-critica moderna ha fatto notare poi che nell'aramaico o nell'ebraico il termine «fratello» ('aha' e 'ah) indica sia il fratello, sia il cugino, sia il nipote, sia l'alleato: nella Genesi Abramo chiama il nipote Lot «fratello» (13,8), come fa Labano col nipote Giacobbe (29,15). Inoltre l'espressione «fratelli del Signore» nel Nuovo Testamento (Atti 1,14; 1Corinzi 9,5) designa un gruppo ben definito, quello dei cristiani di origine giudaica legati al clan nazaretano di Cristo. Essi costituirono una specie di comunità a sé stante, dotata di una sua autorevolezza al punto tale da poter proporre un proprio candidato come primo «vescovo» di Gerusalemme, Giacomo (Atti 15,13; 21,18). 

   Nel brano sopra citato (Marco 3,31-35) Gesù sembra ridimensionare i loro privilegi e ridurli all'orizzonte più generale e più significativo della fedeltà alla volontà del Signore. Per altro essi non sono mai chiamati, come Gesù, «figli di Maria»”[10]. Questa chiarificazione è ormai accettata in tutta la Chiesa latina, anche se rimane il dubbio legato alla straordinaria concordanza dei testi del Nuovo Testamento su questo termine "fratelli". Occorre dire, però, che nella Bibbia ebraica tradotta in greco, la versione dei Settanta per intenderci, il termine fratello è utilizzato anche quando si fa riferimento a gradi di parentela più larghi, come ha scritto Ravasi. Perciò le parole greche che significano "fratello" e "sorella", traducono termini ebraico-aramaici che oltre a designare i figli degli stessi genitori, designano anche parenti prossimi, specialmente per consanguineità, senza specificare il grado di parentela. Tutto questo a dimostrazione del fatto che sia l'ebraico che l'aramaico non hanno la ricchezza di termini delle nostre lingue[11]. E soprattutto coloro che hanno messo per iscritto i Vangeli avevano davanti agli occhi proprio la versione biblica dei settanta, quella scritta in greco per le comunità della Diaspora ebraica, ed hanno utilizzato per i Vangeli la stessa terminologia dei Settanta. 

   Da tutto questo si può dedurre che Maria sia l'unica familiare di Gesù al tempo della vita pubblica, mentre Giacomo, Ioses (Giuseppe), Giuda, Simone, indicati come fratelli, sarebbero in realtà suoi cugini, ed essendo molto viva l’idea del clan, si può benissimo comprendere come, in certi momenti, come in quelli citati dai vangeli, Maria venga nominata insieme con quelli che sono i suoi nipoti. E' verosimile, quindi, che Gesù abbia anche degli zii a Nazareth, mentre sotto la croce c'è anche una zia, sorella della madre. Ed è possibile che proprio gli zii abbiano influenzato negativamente, specialmente all’inizio della predicazione, il comportamento di chiusura del clan nei confronti di Gesù. 

   E' certo che alcuni di questi parenti di Gesù, dopo la sua resurrezione, hanno avuto un ruolo determinante nella comunità cristiana primitiva. Come Giacomo il Giusto, facente parte del gruppo degli apostoli. Diventerà, poi, uno dei capi della comunità giudeo-cristiana di Gerusalemme. 

   Alla luce delle analogie tra i manoscritti di Qumran e l'epistola attribuita a Giacomo, si delinea una nuova realtà che evidenzia chiaramente l'importanza di Giacomo e la sua notevole influenza, non solo sulle comunità giudeo-cristiane di Palestina, ma addirittura sulle comunità religiose ebraiche di Qumran. A testimoniare l'adesione successiva dei familiari e dei parenti a Gesù, ci sono, a Nazaret, dei reperti storici che dimostrano come le prime generazioni di "parenti di Gesù", accanto alla grotta dell'Annuncio, trasformarono in luogo di culto la grotta detta di Conone, l'ultimo parente del Rabbi di Galilea. Ed è qui, in questa grotta racchiusa ora nella Basilica dell'Annunciazione, che appare graffita la più antica preghiera a Gesù adorato come Dio: "O Gesù Cristo, Figlio di Dio, vieni in aiuto ai tuoi servi". 

 [1] Mc 3,20-21.

 [2] Mc 3,31-35.

 [3] Cfr. Mc 6,31. 

 [4] Gv 7,1-8. 

 [5] Mc 6,2-4. 

 [6] Cfr. Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei Vangeli, Ed. Servitium, pag. 112. 

 [7] Mt 12,46-50; Mc 3,31-35; Lc 8,19-21; Gv 2,12. 

 [8] At 1,14. 

 [9] Cfr. Gianfranco Ravasi, Gesù e i suoi "fratelli”, Avvenire, Agora, 24 novembre 2002, pag. 19. 

 [10] Cfr. Gianfranco Ravasi, Gesù e i suoi "fratelli”, Avvenire, Agora, 24 novembre 2002, pag. 19. 

 [11] Fratelli del Signore, in Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo biblico, Ed. Massimo, pag. 318.