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San Basilio Magno (329 - 379)

   Nato intorno al 330 in Cappadocia, a Cesarea, oggi la città turca di Kaysery, Basilio, chiamato Magno, appartiene a una famiglia dalla profonda spiritualità. Tanto è vero che oltre ai genitori anche tre dei suoi fratelli sono annoverati tra i santi.

   Per inquadrare li figura di questo grande Padre della Chiesa, riportiamo qui ciò che disse di lui il Papa Benedetto XVI, nell'udienza generale del 4 luglio 2007.

   Definito dai testi liturgici un «luminare della Chiesa», San Basilio “... Fu un grande Vescovo del IV secolo, a cui guarda con ammirazione tanto la Chiesa d’Oriente quanto quella d’Occidente per la santità della vita, per l’eccellenza della dottrina e per la sintesi armonica di doti speculative e pratiche. 

   Egli nacque attorno al 330 in una famiglia di santi, «vera Chiesa domestica», che viveva in un clima di profonda fede. Compì gli studi presso i migliori maestri di Atene e di Costantinopoli. Insoddisfatto dei suoi successi mondani, e accortosi di aver sciupato molto tempo nelle vanità, egli stesso confessa: «Un giorno, come svegliandomi da un sonno profondo, mi rivolsi alla mirabile luce della verità del Vangelo..., e piansi sulla mia miserabile vita» (cfr Ep. 223,2).  

   Attirato da Cristo, cominciò a guardare verso di Lui e ad ascoltare Lui solo (cfr Regole morali 80,1). Con determinazione si dedicò alla vita monastica nella preghiera, nella meditazione delle Sacre Scritture e degli scritti dei Padri della Chiesa, e nell’esercizio della carità (cfr Epp. 2 e 22), seguendo anche l’esempio della sorella, santa Macrina, che già viveva nell’ascetismo monacale. Fu poi ordinato sacerdote e infine, nel 370, Vescovo di Cesarea di Cappadocia, nell’attuale Turchia.

   Mediante la predicazione e gli scritti svolse un’intensa attività pastorale, teologica e letteraria. Con saggio equilibrio seppe unire insieme il servizio alle anime e la dedizione alla preghiera e alla meditazione nella solitudine. Avvalendosi della sua personale esperienza, favorì la fondazione di molte «fraternità» o comunità di cristiani consacrati a Dio, che visitava frequentemente (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,29 in lode di Basilio). 

   Con la parola e con gli scritti, molti dei quali sono giunti fino a noi, li esortava a vivere e a progredire nella perfezione (cfr Regole brevi, Proemio).

   Alle sue opere hanno attinto anche vari legislatori del monachesimo antico, tra cui san Benedetto, che considerava Basilio come il suo maestro (cfr Regola 73,5). In realtà, san Basilio ha creato un monachesimo molto particolare: non chiuso alla comunità della Chiesa locale, ma ad essa aperto. I suoi monaci facevano parte della Chiesa locale, ne erano il nucleo animatore che, precedendo gli altri fedeli nella sequela di Cristo e non solo nella fede, mostrava la ferma adesione a Lui – l’amore per Lui – soprattutto in opere di carità. Questi monaci, che avevano scuole ed ospedali, erano al servizio dei poveri ed hanno così mostrato la vita cristiana nella sua completezza. Il Servo di Dio Giovanni Paolo II, parlando del monachesimo, ha scritto: «Si ritiene da molti che quella struttura capitale della vita della Chiesa che è il monachesimo sia stata posta, per tutti i secoli, principalmente da san Basilio; o che, almeno, non sia stata definita nella sua natura più propria senza il suo decisivo contributo» (Lettera Apostolica Patres Ecclesiae, 2).

    Come Vescovo e Pastore della sua vasta Diocesi, Basilio si preoccupò costantemente delle difficili condizioni materiali in cui vivevano i fedeli; denunciò con fermezza i mali; si impegnò a favore dei più poveri ed emarginati; intervenne anche presso i governanti per alleviare le sofferenze della popolazione, soprattutto in momenti di calamità; vigilò per la libertà della Chiesa, contrapponendosi anche ai potenti per difendere il diritto di professare la vera fede (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,48-51). A Dio, che è amore e carità, Basilio rese una valida testimonianza con la costruzione di vari ospizi per i bisognosi (cfr Basilio, Ep. 94), quasi una città della misericordia, che da lui prese il nome di Basiliade (cfr Sozomeno, Storia Eccl. 6,34). Essa sta alle origini delle moderne istituzioni ospedaliere di ricovero e cura dei malati.

   Consapevole che «la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa, e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù» (Sacrosanctum Concilium, 10), Basilio, pur preoccupato di realizzare la carità che è il contrassegno della fede, fu anche un sapiente «riformatore liturgico» (cfr Gregorio Nazianzeno, Discorso 43,34). Ci ha lasciato infatti una grande preghiera eucaristica [o anafora] che da lui prende nome, e ha dato un ordinamento fondamentale alla preghiera e alla salmodia: per suo impulso il popolo amò e conobbe i Salmi, e si recava a pregarli anche nella notte (cfr Basilio, Omelie sui Salmi 1,1-2). E così vediamo come liturgia, adorazione, preghiera vadano insieme con la carità, si condizionino reciprocamente. Con zelo e coraggio Basilio seppe opporsi agli eretici, i quali negavano che Gesù Cristo fosse Dio come il Padre (cfr Basilio, Ep. 9,3; Ep. 52,1-3; Contro Eunomio 1,20). Similmente, contro coloro che non accettavano la divinità dello Spirito Santo, egli sostenne che anche lo Spirito è Dio, e «deve essere con il Padre e il Figlio connumerato e conglorificato» (cfr Lo Spirito Santo). Per questo Basilio è uno dei grandi Padri che hanno formulato la dottrina sulla Trinità: l'unico Dio, proprio perchè è Amore, è un Dio in tre Persone, le quali formano l'unità più profonda che esista, l'unità divina.

   Nel suo amore per Cristo e per il suo Vangelo, il grande Cappadoce si impegnò anche a ricomporre le divisioni all’interno della Chiesa (cfr Epp. 70 e 243), adoperandosi perché tutti si convertissero a Cristo e alla sua Parola (cfr Il giudizio 4), forza unificante, alla quale tutti i credenti devono ubbidire (cfr ibid., 1-3).

   In conclusione, Basilio si spese completamente nel fedele servizio alla Chiesa e nel multiforme esercizio del ministero episcopale. Secondo il programma da lui stesso tracciato, egli divenne «apostolo e ministro di Cristo, dispensatore dei misteri di Dio, araldo del regno, modello e regola di pietà, occhio del corpo della Chiesa, pastore delle pecore di Cristo, medico pietoso, padre e nutrice, cooperatore di Dio, agricoltore di Dio, costruttore del tempio di Dio» (cfr Regole morali 80,11-20). E’ questo il programma che il santo Vescovo consegna agli annunciatori della Parola – ieri come oggi –, un programma che egli stesso si impegnò generosamente a mettere in pratica. Nel 379 Basilio, non ancora cinquantenne, consumato dalle fatiche e dall’ascesi, ritornò a Dio, «nella speranza della vita eterna, attraverso Gesù Cristo Signore nostro» (Il Battesimo 1,2,9). Egli fu un uomo che visse veramente con lo sguardo fisso a Cristo, un uomo dell'amore per il prossimo. Pieno della speranza e della gioia della fede, Basilio ci mostra come essere realmente cristiani”. (Fonte: Papa Benedetto XVI, Udienza Generale, mercoledi 4 luglio 2007).  



San Basilio Magno: Omelia sull'umiltà Omelia sull’umiltà

S. BASILIO DI CESAREA

    L'uomo doveva restare nella gloria che è presso Dio e avrebbe una grandezza non apparente, ma reale: l’avrebbe fatto grande la potenza di Dio, risplenderebbe per la sapienza divina, gioirebbe per la vita e per i beni eterni. Ma poiché sostituì la brama della gloria divina, e ambì e aspirò a realtà più grandi che non era in grado di afferrare, perse proprio ciò che poteva avere. Per lui, la via di salvezza e la terapia più efficace dell’infermità e per il ritorno alla condizione originale, è l’umiltà e il non far sfoggio di una propria gloria, ma cercare quella che viene da Dio. Così rimedierà alla caduta, così curerà la malattia, così ritornerà al santo comandamento che aveva abbandonato. Ma il diavolo, che fece cadere l’uomo con la speranza di una falsa gloria, non cessa di provocarlo con gli stessi stimoli e di inventare a tale scopo artifici senza numero. Gli fa apparire come gran cosa il possesso delle ricchezze, per vantarsene e porvi ogni sollecitudine. Ciò non vale niente per giungere alla gloria, ma tanto per il pericolo in cui si incorre. Il procurarsi ricchezze, infatti, è occasione di avidità, e il possederle non reca alcun prestigio, ma produce un inutile accecamento, una vana esaltazione, e nell’anima una malattia simile a un gonfiore. Non è sano, né benefico il tumore che provoca il gonfiore dei corpi, ma è malsano, nocivo, principio di pericolo e causa di rovina. Tale è anche l’orgoglio per l’anima. E non solo ci si monta la testa per le ricchezze, e gli uomini non si esaltano unicamente per il tenore di vita e per l’abbigliamento che le ricchezze consentono: allestendo banchetti sontuosi, smodatamente ricchi; indossando abiti eccessivi; edificando enormi palazzi, ornati con ogni ricercatezza; con una moltitudine di servi al seguito e accompagnati da una frotta di parassiti senza numero, ma si esaltano anche, oltre natura, per le cariche a cui sono eletti. Se un popolo conferisce una carica; se stima uno degno di una qualche preminenza e gli affida per decreto la carica del comando supremo, a questo punto, coloro che hanno ottenuto tale dignità, come balzando al di sopra della natura umana, si considerano, come le nubi, al di sopra di tutti e stimano i loro sudditi come polvere da calpestare e si esaltano nei confronti di quelli che hanno loro conferito la dignità e si mostrano arroganti verso coloro mediante i quali pensano di essere qualcuno. Continuando ad esercitare un potere con ogni follia, la loro gloria è più inconsistente di un sogno e lo splendore che li avvolge è più vano di una fantasia notturna: a un cenno del popolo è sorta, e ad un cenno è svanita. Così era quel folle del figlio di Salomone, giovane di età, ma ancor più giovane di senno. Al popolo che gli chiedeva di governare con più moderazione, egli minacciò una durezza ancora maggiore, e con la minaccia mandò in rovina il regno; per essa si aspettò di venire considerato un re ancora più grande, per essa fu distrutta la dignità che aveva. Infondono un’eccessiva fiducia nell’uomo anche la forza delle mani, la velocità dei piedi, la bellezza del corpo: cose che sono divorate dalle malattie e consunte dal tempo. 

   L’uomo non percepisce che ogni carne è come l’erba e ogni gloria umana è come il fiore dell’erba; l’erba si è seccata e il fiore è inaridito. Tali furono le arroganze dei giganti a causa della loro forza, e la convinzione dello stolto Golia di poter combattere contro Dio. Tale fu Adonia, orgoglioso della sua bellezza; tale fu Assalonne, superbo per la sua straordinaria capigliatura. 2. Ciò che sembra essere poi il più grande e il più sicuro fra tutti i beni che gli uomini possiedono, cioè la sapienza e l’intelligenza, anche questo è vana esaltazione e conferisce una grandezza non vera. Se si esclude la sapienza che viene da Dio, tutte queste cose non servono a nulla. Persino al diavolo, infatti, non gli riuscì il sofisma che ideò contro l’uomo, e non si accorse di aver ordito contro se stesso ciò che aveva escogitato contro l’uomo. Non recò nessun grave danno a colui che egli sperava di allontanare da Dio e dalla vita eterna. Tradì solo se stesso, poiché si ribellò a Dio e fu condannato a una morte eterna. E poiché tese un laccio al Signore, a questo laccio fu preso: fu crocifisso proprio quando era intento a crocifiggere, e fu ucciso nell’istante in cui sperò di mettere a morte il Signore. Ma se il principe del mondo, il primo, supremo e invisibile sofista della sapienza mondana è preso dai suoi sofismi e finisce nell’estrema stoltezza, quanto più i suoi discepoli e seguaci: anche se comprendono un’infinità di cose, dichiarandosi sapienti, sono diventati stolti. Il Faraone ordì con astuzia la distruzione di Israele, ma non si accorse che la sua scaltra macchinazione era stata vanificata là dove non avrebbe mai immaginato. Un fanciullo, abbandonato a causa del suo editto di morte, fu allevato di nascosto nella casa del re e, dopo aver distrutto la sua potenza e quella di tutto il popolo, condusse Israele alla salvezza. E quell’omicida di Abimelech, figlio illegittimo di Gedeone, che uccise i settanta figli legittimi: egli pensando che fosse un atto sapiente, per rendere più sicuro il dominio sul regno, annientare coloro che lo avevano aiutato nell’omicidio, fu annientato da loro, e finì per mano di una donna e il lancio di una pietra . Con astuzia, anche tutti i Giudei presero la decisione di uccidere il Signore, dicendosi gli uni gli altri: Se lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i romani e distruggeranno il nostro Luogo e la nostra nazione. Da questa decisione giunsero all’uccisione del Cristo. Con l’intento di salvare essi la nazione e il paese, lo portarono alla rovina me-diante ciò che avevano deliberato; e furono scacciati dal paese e privati delle leggi e del culto. Da una miriade di esempi si può apprendere perfettamente che è inconsistente la brama della sapienza umana: è piccola e infima, e non gran-de e sublime. 3. Così, nessuno che ragioni bene, sarà orgoglioso, né della propria sapienza, né delle altre realtà di cui abbiamo parlato prima; ma ubbidirà al-le bellissime esortazioni della beata Anna e del profeta Geremia: Non si vanti il sapiente nella sua sapienza, non si vanti il forte nella sua forza, non si vanti il ricco nella sua ricchezza. Qual è allora il vero vanto? In che cosa l’uomo è grande? In questo – dice – si vanti chi si vanta, di comprendere e di conoscere che io sono il Signore. Questa è la grandezza dell’uomo, questa la sua gloria e magnificenza: conoscere ciò che è veramente grande, aggrapparsi ad esso e cercare la gloria che viene dal Signore della gloria. Dice poi l’Apostolo: Chi si vanta, si vanti nel Signore; e afferma: Cristo è diventato per noi sapienza da parte di Dio, giustizia, santificazio-ne e redenzione, perché – come sta scritto – chi si vanta, si vanti nel Si-gnore. Il perfetto e pieno vanto in Dio, infatti, si ha quando uno non si esalta per la propria giustizia, ma riconosce di essere privo di vera giustizia, e di essere stato giustificato dalla sola fede in Cristo. Anche Paolo si vanta di non tenere in alcun conto la propria giustizia, per cercare invece quella che è mediante il Cristo, la giustizia che è da Dio, basata sulla fede, per conoscere lui e la potenza della sua risurrezione, e la comunione dei suoi pati-menti, conformandomi alla morte di lui, per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti. Qui viene meno ogni orgogliosa grandezza. Nulla ti è rimasto per esibire la tua arroganza, o uomo, che hai il vanto e la speranza nel mortificare tutto ciò che ti appartiene e nel cercare in Cristo la vita futura: di essa possediamo le primizie, già siamo in queste realtà, viviamo totalmente nella grazia e nel dono di Dio. Ed è Dio che opera in noi il volere e l’operare secondo il suo beneplacito. E’ Dio che mediante il suo Spirito rivela che la sua sapienza è stata predestinata per la nostra gloria. 

    E’ Dio che concede la forza nelle fatiche: Ho faticato più di tutti - dice Paolo - non io però, ma la grazia di Dio che è con me. E’ Dio che libera dai pericoli al di là di ogni speranza umana: Noi - dice – abbiamo avuto in noi stessi la sentenza della morte, perché non mettiamo la nostra fiducia in noi stessi, ma in Dio che ha risuscitato i morti. E’ lui che ci ha liberati da una tale morte e ci libererà: abbiamo in lui questa speranza che egli ci libererà ancora. 4. Allora dimmi, perché ti esalti per i beni che hai come se fossero tuoi, invece di rendere grazie per i doni a Colui che li ha elargiti? Che hai tu, infatti, che tu non abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché ti vanti come se non l’avessi ricevuto? Non tu hai conosciuto Dio con la tua giustizia, ma Dio ha conosciuto te per la sua bontà: Avendo conosciuto Dio – dice – anzi, essendo stati piuttosto conosciuti da Dio. Non tu hai afferrato il Cristo con la tua virtù, ma il Cristo ha afferrato te con la sua venuta: Perseguo lo scopo – dice – se mai io possa afferrare come sono stato afferrato dal Cristo. Non voi avete scelto me – dice il Signore – ma io ho scelto voi. E tu, poiché sei stato onorato, monti in superbia e accogli la misericordia come motivo d’orgoglio? Allora sappi quello che sei! Sei come Adamo, cacciato dal paradiso; sei come Saul, abbandonato dallo Spirito di Dio; sei come Israele, tagliato dalla radice santa: Per la fede – dice – tu resti nella radice; non insuperbirti, ma temi! Un giudizio si accompagna ad una grazia e il giudice ti chiederà conto di come hai usato i doni ricevuti. Se però, nonostante questo, non capisci che hai trovato grazia, ma al culmine dell’incoscienza consideri la grazia come una tua personale opera buona, non credere di valere di più del beato apostolo Pietro. Infatti non puoi superare nell’amore verso il Signore colui che lo amava così intensa-mente che desiderava morire per lui. Ma poiché con grande orgoglio disse: Se anche tutti saranno scandalizzati a causa tua, io però non sarò mai scandalizzato, fu tradito dalla paura per gli uomini e cadde nel rinnegamento. Poi rimediò alla caduta con l’umiltà, e imparò ad avere compassione dei deboli scoprendo la propria debolezza; e conobbe chiaramente, che come quando stava per essere sommerso nel mare fu la destra del Cristo a sollevarlo, così quando rischiò di perire nei flutti dello scandalo a causa della mancanza di fede, fu custodito dalla potenza del Cristo, il quale gli predisse ciò che sarebbe accaduto, dicendo: Simone, Simone, ecco che Satana vi ha reclamati per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. Con questo avvertimento, Pietro fu aiutato nel modo giusto: poiché gli fu insegnato a deporre l’arroganza e a usare misericordia verso i deboli. Quel fariseo, invece, duro e orgoglioso oltre misura, che non solo confidava in se stesso, ma disprezzava anche il pubblicano davanti a Dio, perse la gloria della giustizia per l’accusa dell’orgoglio. E il pubblicano se ne andò giustificato a differenza di quello, poiché glorificò il Dio santo e non osò sollevare lo sguardo; ma cercò soltanto il perdono, facendosi accusatore di se stesso nell’atteggiamento, nel battersi il petto e nell’esclusiva ricerca del perdono. Guarda dunque e fa attenzione all’avvertimento del grave danno che procura l’orgoglio. Insuperbendosi, il fariseo subì la perdita della giustizia; confidando in sé, perse la ricompensa. Fu inferiore all’umile e al peccatore, poiché si considerò superiore a lui; e non attese il giudizio di Dio, ma emise il proprio. Ma tu non esaltarti mai contro nessuno, neppure contro i grandi peccatori. Spesso l’umiltà salva chi ha commesso molti e gravi peccati. Non ti considerare dunque più giusto di un altro perché, giustificato dal tuo giudizio, tu non sia condannato dal giudizio di Dio. Dice Paolo: Non giudico me stesso; non ho infatti coscienza di nessuna colpa; ma non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore. 5. Vuoi comportarti bene? Ringrazia Dio e non esaltarti contro il prossimo: Ciascuno – dice – esamini il proprio operato e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in un altro. Infatti, che vantaggio hai recato al prossimo per aver testimoniato la fede, o per aver sofferto l’esilio per il nome del Cristo, o per aver perseverato nelle fatiche del di-giuno? Non è di altri il guadagno, ma tuo. Temi di cadere come cadde il diavolo. Egli si innalzò contro l’uomo e cadde per mano di un uomo; e fu calpestato da colui che era stato calpestato. Fu simile anche la caduta degli Israeliti. Si esaltarono infatti contro le genti, considerandole impure; e proprio loro divennero impuri, mentre le genti furono purificate. La loro giustizia divenne come panno di donna che ha le mestruazioni, mentre l’iniquità e l’empietà delle genti furono cancellate in virtù della fede. Ricorda sempre la verità del proverbio che dice: Dio resiste agli orgogliosi, ma agli umili dà grazia. Sempre tieni in mente la parola del Signore: Chi si umilia sarà innalzato, e chi si innalza sarà umiliato. Non essere un giudice parziale di te stesso e non stimarti in modo lusinghiero; ciò avviene se pensi di avere qualcosa di buono e lo calcoli con precisione, mentre di proposito dimentichi i tuoi peccati. Non esaltarti per le opere buone di oggi, approvando te stesso per il male fatto di recente e in passato; ma quando il presente ti innalza, il passato ti spinga al ricordo e plachi l’insensato orgoglio. E se ti capita di vedere da vicino chi commette un peccato, non gua-dare solo questo di lui, ma considera anche quanto ha fatto o fa di bene, e, esaminando ogni aspetto e non soffermandoti sui dettagli, spesso scoprirai che egli è migliore di te. Neanche Dio, infatti, esamina l’uomo in modo parziale: Io infatti – dice – vengo a riunire le loro opere e i loro pensieri; e un giorno, rimproverando Giosafat per il peccato appena commesso, gli ricordò anche le opere buone, dicendo: Tuttavia in te si sono trovate cose buone. 6. In ogni momento cantiamo a noi stessi queste e simili cose riguardo all’orgoglio, abbassando noi stessi per essere innalzati, imitando il Signore che è disceso dal cielo fino all’estrema umiltà, per essere dall’umiltà elevati alla giusta altezza. Troviamo, infatti, nella vita del Signore ogni insegnamento sull’umiltà. Da bambino, subito, è in una grotta; e non in un letto, ma deposto in una mangiatoia; abita nella casa di un carpentiere e di una madre povera, sottomesso alla madre e al suo promesso sposo; impara, ascoltando ciò che non aveva bisogno di apprendere, e per le domande che pone e per le risposte che dà, stupisce per la sua sapienza. Si sottomette a Giovanni, e il Sovrano riceve il battesimo dal servo. A nessuno si oppone di quanti insorgono contro di lui; e non ricorre al suo ineffabile potere, ma cede come se fossero più forti di lui e fornisce a un potere limitato la forza ad esso proporzionata. Sta di fronte ai sommi sacerdoti come uno che è giudicato; è condotto al cospetto del governatore, sostiene il giudizio, e potendo accusare chi gli muoveva false accuse, sopporta in silenzio i calunniatori. Servi e schiavi vilissimi gli sputano addosso; è messo a morte, e al-la morte più infame presso gli uomini. Così, tutto mostrò all’uomo, dall’inizio alla fine; e da ultimo, dopo una così grande umiltà, manifesta la gloria, glorificando assieme a sé coloro che hanno avuto parte al suo disonore. I primi di essi furono i beati discepoli, che percorsero la terra poveri e nudi, non con sapienza di linguaggio, non con una moltitudine di seguaci; soli, erranti, solitari, attraversarono la terra e il mare; furono flagellati, lapidati, perseguitati e infine uccisi. Questi sono per noi i paterni e divini insegnamenti. Imitiamo costoro, per giungere noi dall’umiltà alla gloria eterna, che è il dono perfetto e vero del Cristo. 7. Come giungeremo dunque alla salutare umiltà, dopo aver abbandonato il tumore distruttivo dell’orgoglio? Se la eserciteremo in tutto, e in nulla la trascureremo, per non subirne un danno. L’anima, infatti, assomiglia alle opere e riceve l’impronta e la forma di ciò che fa. Esercita dunque in tutto la povertà: nell’abito, nel vestito, nel camminare e nello star fermo, nella preparazione dei cibi, nella preparazione del letto, nella casa e negli arredi della casa. Anche nella parola, nel canto, e nel rapporto con il prossimo, guarda che tutto si realizzi nell’umiltà piuttosto che nella superbia. Che io non senta, nei discorsi, millanterie da sofista, né voci eccessivamente voluttuose nei canti, e neppure discussioni sprezzanti e violenti; ma in tutto e per tutto elimina la superbia. Sii buono con l’amico, dolce con i familiari, paziente con gli sfrontati, amante dei poveri; consolatore degli afflitti, attento a quelli che soffrono; mai indifferente con nessuno; dolce nel rivolgere la parola, garbato nel rispondere, generoso, affabile con tutti. Non elogiarti e non permettere che altri ti elogino, non prestare fede a una parola di adulazione, e nascondi per quanto possibile i tuoi successi. Accusa te stesso dei tuoi peccati e non attendere che siano gli altri a rimproverarti; per assomigliare a quel giusto, che avendo in tribunale il diritto a parlare per primo, accusò se stesso; per essere come Giobbe che non ebbe timore di confessare il proprio peccato davanti all’intera città. Non essere severo nelle minacce, né impulsivo; non rimproverare mosso da passionalità - questo infatti è un comportamento arrogante ; non condannare per cose da nulla come se tu stesso fossi giusto sotto ogni aspetto. Accogli i peccatori e rafforzali spiritualmente, come ammonisce l’Apostolo: guardando su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione. Metti tanto impegno per non essere glorificato dagli uomini, quanto gli altri per essere glorificati, se ti ricordi del Cristo che ha detto che la deliberata ostentazione davanti agli uomini e il bene fatto per essere da loro ammirati comporta la perdita della ricompensa di Dio; dice, infatti: Hanno già ricevuto la loro ricompensa. Non rovinare dunque te stesso per voler figurare davanti agli uomini. Poiché Dio è acuto osservatore, tu ama la gloria che viene da Dio: egli, infatti, concede la splendida ricompensa. E se hai ricevuto l’onore del primo posto e gli uomini ti rispettano e ti lodano? Comportati come coloro che stanno sottomessi, non dominando sulle porzioni del gregge – dice – né secondo i principi del mondo, poiché il Signore ha comandato che chi vuole essere primo, sia servo di tutti. Insomma, insegui l’umiltà come se fosse proprio la tua amante: Diventa suo amante, e ti glorificherà. Così procederai sicuro verso la gloria, quella vera, quella che è fra gli angeli, quella che è accanto a Dio. E il Cristo ti riconoscerà come suo discepolo davanti agli angeli e ti glorificherà se diverrai imitatore della sua umiltà, di lui, che ha detto: Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le anime vostre. A lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. 

A cura di Giorgio Sgargi 

Fonte:               

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