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La lingua parlata da Gesù

   I Vangeli ci hanno tramandato le parole di Gesù, i detti originali, i suoi discorsi improvvisati, gli insegnamenti, le parabole e l’applicazione originale, di questo genere narrativo, che costituisce qualcosa di veramente nuovo rispetto alla letteratura rabbinica anteriore e contemporanea. Ma di questo insegnamento parabolico, caratteristica peculiare del Gesù terreno, avremo modo di parlare in seguito.

   Ora ci domandiamo: che lingua parlava Gesù?

   Una prima risposta la possiamo trovare nei quattro Vangeli canonici, che sono stati scritti in un tipo di greco chiamato Koiné, anche se vi si trovano notevoli tracce di influsso semitico. Ma la cosa che sorprende ed incuriosisce un lettore attento dei vangeli, è che nei quattro testi canonici che noi conosciamo[1], sono riportate parole ed espressioni in aramaico. Una lingua semitica, molto simile all’ebraico ed al fenicio, che il popolo di Israele aveva appreso nel periodo doloroso della cattività Babilonese e che era diventata, così, la lingua parlata in Palestina. Quindi l’aramaico era la lingua parlata da Gesù, dai suoi primi discepoli e dal popolo ebreo. E allora succede che leggendo, o ascoltando con attenzione certe parole, o locuzioni pronunciate da Gesù e tramandate nella sua lingua originale, si resta col fiato sospeso. E’ evidente che gli evangelisti hanno voluto tramandare non solo la parola ed il suo significato, ma anche il suo stesso suono, così com’è fuoriuscito dalle labbra del Nazareno. Essi per primi, quindi, hanno pensato che, traducendo questi detti in greco, come hanno fatto con tutto il resto, avrebbero forse reso un significato non proprio fedele all’originale. 

   Nel loro impegno di traduzione in greco delle memorie più antiche, sia orali che quelle scritte in aramaico, coloro che hanno redatto i testi dei vangeli si sono fermati, come di fronte ad uno sbarramento invisibile, quando hanno dovuto dare un’interpretazione di certe parole uscite dalle labbra di Gesù. Sono termini che ascoltiamo spesso, distrattamente, senza pensarci su, nelle nostre liturgie. Eppure essi hanno provocato un dietrofront all’agiografo di turno, che si tratti di Matteo, o Marco particolarmente. Entrambi, infatti, hanno preferito riportare i termini tali e quali come provenivano dalle tradizioni precedenti. Si tratta di parole che risalgono allo stadio Gesuano. Sono, cioè, considerate, dagli studiosi, come pronunciate dallo stesso Gesù. E se sono state trasmesse senza traduzione, questo significa che lo scrittore sacro ha voluto rendere un grande servigio al Maestro di Galilea le cui parole sono rimaste fortemente impressionate nelle varie tradizioni. E poi anche ai suoi lettori, per far sì che essi potessero percepire il suono, la voce, l’afflato, la potenza celata, ed ora manifesta della sua missione, l’ordine dato al male di “farsi da parte”, perché c’è Qualcuno che è venuto per vincere il dolore, il male e la morte. 

   Sono parole che conservano tuttora il loro fascino originario, come Talità kum[2], che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!", la parola autorevole, con il quale Gesù fa risorgere, in nome proprio, la giovane figlia di Giairo. Oppure, Effatà![3], che vuol dire "Apriti", l’espressione con la quale egli guarisce un sordomuto, in forza di una Potenza che esce da lui[4]. O anche Abbà[5], l'invocazione con la quale Gesù si rivolge al Padre rivelando, in maniera unica ed irripetibile, la sua intimità con il Padre Celeste. A questo termine, che è il più rilevante tra tutta la fraseologia aramaica presente nei vangeli, dedicheremo, poi, lo spazio che merita.  Infine, possiamo aggiungere: "Elì, Elì, lemà Sabactani"[6], che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato" .  

   C’è anche una frase, presente nel Padre nostro, “…e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”[7], che sebbene sia presentata in greco con l’accezione ofeilêmata, che traduce debiti, quello che è dovuto, e, metaforicamente, offesa, peccato, mostra chiaramente l’aramaico che soggiace dietro il verbo greco. Infatti, la parola “debito”, in aramaico hoba’, significa anche peccato[8]. E’ bene specificare, però, che l’idioma abitualmente parlato da Gesù era un dialetto galileo-aramaico, come si evince nel dialogo tra Pietro ed alcuni presenti nel cortile del sommo sacerdote, durante l’interrogatorio di Gesù[9]. 

   Guardando all’ambiente storico Palestinese del primo secolo, dobbiamo pensare che Gesù conosca bene anche l'ebraico, la lingua dei testi sacri dell’Antico Testamento. Da giovane ha frequentato la scuola annessa alla sinagoga di Nazareth, e qui ha imparato a leggere le scritture, a tradurle, a commentarle. 

   I vangeli riferiscono che lui insegna frequentemente nelle sinagoghe e gli stessi scribi e dottori della Legge lo chiamano col titolo di "Rabbi", che significa “Maestro”. Un appellativo che gli viene attribuito anche dai suoi stessi discepoli e che può essere spiegato solo con una salda conoscenza della lingua sacra, l'ebraico classico, la lingua dei padri e delle Sacre Scritture. 

   Come detto in precedenza, c’è anche il greco nel linguaggio parlato da Gesù. E’ il greco biblico, la Koiné , la lingua più comune appresa dagli ebrei e dai popoli vicini dopo le conquiste di Alessandro il Macedone. In Galilea, che da sempre è stata una regione a popolazione mista e costituisce la terra di incontro di strade importanti come la Via Maris , la via del mare, che congiunge la Siria all’Egitto, il greco è abbastanza diffuso. Pur trovandosi non vicino ai grandi traffici, la città di Nazareth ne è, in un certo senso, influenzata. E poiché, come attestano i Vangeli, Gesù non si limita a girare per la Galilea , la Giudea e la Samaria , ma si spinge fino alle regioni limitrofe di Tiro e Sidone attraversando la Fenicia , e, dall'altra parte, nel territorio della Decapoli, tutte zone ellenizzate, si riesce a comprendere come Egli possa avere una certa conoscenza della lingua greca. Lo dimostra ancora di più l'episodio della guarigione della figlia di una donna siro-fenicia, avvenuta dopo un dialogo molto bello e toccante(Mc 7,26-30). 

   Insomma abbiamo solide prove che Gesù abbia una conoscenza della lingua greca, anche se "la lingua che ha strutturato la sua vita, il suo pensiero e il suo cuore, è stata la lingua materna, l'aramaico, assieme, però, a quella dei padri, cioè all'ebraico, come si era condensato nel testo sacro, del quale Gesù dice di essere il compimento"[10]. 



 [1] E cioè: Marco, Matteo, Luca e Giovanni. 

 [2] Mc 5,4. 

 [3] Mc 7,34. 

 [4] Mc 5,30. 

 [5] Mc 14,36; Cfr. Rm 8,15; Gal 4,6. 

 [6] Mt 27,46; Mc 15,34. 

 [7] Mt 6,12. 

 [8] Cfr. Gianfranco Ravasi, Quali lingue erano conosciute da Gesù, in Vita Pastorale, n.8-9, agosto-settembre 2006, 56. 

 [9] “Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!”(Mt 26,73). 

 [10] Gabriele Miola, Che lingua parlava Gesù?, in Storia di Gesù, Ed. Rizzoli, Vol II, pag.395 ss..