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Luoghi cristiani di Samaria

Mappa della Samaria

   Il 19 maggio 2005, alcuni professori e studenti dello Studio Biblico Francescano di Gerusalemme, si sono recati in visita ad alcuni luoghi della regione di Samaria. Nonostante i numerosi posti di blocco, ancora presenti lungo il percorso, sono riusciti nel loro intento di arrivare fino alla antica città di Sebaste. Riportiamo, in questa pagina, parte della descrizione delle antichità e della storia cristiana dei villaggi della regione, presa dal libro di Bellarmino Bagatti OFM (Antichi villaggi cristiani di Samaria, Gerusalemme 1979 [nuova edizione inglese 2002]). Il testo è supportato da alcune foto scattate dagli escursionisti. Ringraziamo, pertanto, lo Studium Biblicum Franciscanum, nella persona del Segretario, Padre Rosario Pierri, per l'autorizzazione alla pubblicazione. 

 Tel Silo  Dal Tel Silo SILO Silo è ben conosciuta per le gesta di Samuele raccontate vividamente dalla Santa Scrittura. Il posto fu molto visitato finché vi fu conservata l’arca dell’alleanza, ma poi decadde. Gli scavi praticati dagli archeologi danesi nel 1926 e nel 1929 hanno mostrato come il sito fosse abitato anche nei periodi ellenistico, romano, bizantino ed arabo.Tel Silo La chiesa. La prima notizia storica relativa al cristianesimo nel posto si ha in san Girolamo che, nella lettera a Paola ed Eustochio, datata verso il 392-393, dopo la descrizione dei luoghi santi, esce con queste parole: “Con Cristo a nostro fianco passeremo per Silo e Bethele (Bethel, n.d.r.) e per altre località dove sono state erette chiese come altrettanti vessilli delle vittorie del Signore”. 

   Considerato che a Betel in questo tempo vi era certamente una chiesa, come si costata da altre fonti, si può credere che san Girolamo, con questa frase un po’ enfatica, dica realmente un fatto storico. Non afferma però che la chiesa sia sorta sul posto esatto del vecchio culto giudaico. Contrariamente a ciò che avvenne a Betel, la chiesa ufficiale di Gerusalemme non stabilì una pellegrinazione a Silo, cosicché la sua festa non è menzionata nel Calendario della chiesa di Gerusalemme. 

   Il noto mosaico di Madaba ricorda Silo, omettendo il profilo della chiesa. La basilica. La missione archeologica danese ha il merito di aver scavato, nel 1929, due chiese poste fra i due edifici ora descritti. Oggi si sogliono chiamare: l'interno della Basilica di Silo basilica quella di nord e monastero quella di sud sebbene gli scavatori abbiano denominato: basilica la prima e “chiesa dei pellegrini”, la seconda. Al momento in cui fu pubblicata la relazione di Kjaer l’ambiente della basilica non era completamente scavato, nonostante il direttore dello scavo la ritenne “realmente basilica” se non altro per le proporzioni. 

   Considerando il muro di sud, fatto con pietre squadrate (altezza dei ricorsi cm 44 e 26) che si può studiare ancora, si ha tra la basilica e l’atrio la lunghezza di 40 m. La larghezza della basilica, sempre all’esterno, è di m 14,10, però a sud ha una camera aggiunta larga m 6,40. La basilica era a tre navate e sono conservate 12 basi e due bei capitelli corinzi (alti cm 62 a larghi 72-61). Il loro stile è simile a quello ben noto dell’IV secolo; per le foglie separate le une dalle altre in modo da far scorgere il costolone delle foglie poste dietro e per la foglia liscia situata sotto l’angolo si debbono ritenere opera di uno stesso tempo. Ciò ci fa pensare che la chiesa, almeno nella sua struttura primitiva sia quella vista da san Girolamo. La basilica era coperta con travatura come lo dimostrano i molti frammenti di tegole ed embrici sparsi all’intorno. mosaico con croceIl pavimento è musivo sebbene conservato in parte. Il campo ha dei circoli e rombi che si incrociano e nel mezzo delle rotture e accomodature antiche. Ciò mi fa credere che dentro vi fossero delle figure forse distrutte durante il movimento iconoclasta. In questo caso la vita liturgica della basilica si sarebbe prolungata fino all’VIII secolo. Nel nartece è stata trovata un’iscrizione che dice: “Signore ricordati del servo Zaccaria e dello scrittore per il bene”. L’editore J. Starr fa notare che la frase “is aghata” non è altro che la traduzione dell’aramaico “debir letab” usato ordinariamente nelle sinagoghe di Palestina. Ciò porta a considerare i rapporti esistenti fra i cristiani del IV-VI secolo, quando sembra essere scritta questa iscrizione e pavimentata la chiesa con tali mosaici, e gli ebrei. 

   La sinagoga, ora rimessa parzialmente alla luce, con il lintello dell’anfora e con la nicchia per la thora disposta nella stanza secondo l’uso del III-IV secolo (evidentemente anche alcuni secoli dopo), ci mostra come contemporaneamente alla chiesa funzionasse anche la sinagoga ebraica. Vi erano dunque nel villaggio ebrei e cristiani che vivevano insieme. 

   La permanenza degli ebrei nella loro zona antica verso il V secolo ci fa credere che essi vi siano restati sempre e che i cristiani in origine derivano da loro. Ciò spiega molto bene l’uso della frase aramaica. "Anche se nella relazione dello Studio Biblico Francescano non viene scritto, io credo che Gesù abbia visitato più volte, quando si è trovato in la Samaria, la località di Silo. Egli era ebreo e la sua appartenenza al ceppo, alla cultura ed alla fede ebraica non può non ricordagli i legami di Silo con alcune vicende bibliche dell'Antico Testamento, come quelle legate a Samuele, e citate all'inizio della relazione del SBF"(Donato Calabrese). 

   Tayybeh, un villaggio totalmente cristianoIl villaggio di Tayyibeh, di antichissime origini cristiane Il villaggio di Tayyibeh, a differenza degli altri, può vantare un ricordo evangelico ed una continuità di cristiani dalle origini fino a noi. Rimanendo lontano dalle vie battute, il villaggio, non fu frequentato dai pellegrini, ma visse nascostamente attraverso i secoli, restando attaccato al suo carattere cristiano. I commentari antichi del Vangelo di san Giovanni, per esempio quello del Maldonato, dicono che non si sa a che villaggio, l’Efrem del Vangelo, oggi possa corrispondere. In san Giovanni 11,54 si legge: “Gesù non si mostrava in pubblico presso i Giudei, ma andò in una regione presso il deserto, nella città chiamata Efrem, dove dimorò con i suoi discepoli”. Era il momento in cui Gesù era ricercato e poco dopo doveva subire la Passione. Dal secolo scorso, seguendo le tracce dell’Onomasticon di Eusebio, l’Efrem fu identificato col villaggio di Tayyibeh. Qualcuno ha voluto metterlo in dubbio, volendo collocarlo altrove, per esempio a es-Samieh, ma, come scrive lo stesso p. Benoit le ragioni invocate hanno poco peso. Al contrario la tradizione bizantina, attestata da Eusebio di Cesarea il villaggio cristiano di Tayyibeh nel suo Onomasticon, conviene perfettamente con il sito di et-Tayyibeh, essendo ammesso che le distanze indicate da Eusebio (5 miglia da Betel e 20 miglia da Gerusalemme) si verificano sulla strada romana più lunga del tracciato diretto. Questa tradizione, d’altronde, è confermata dalla celebre carta in mosaico di Madaba che indica così questa borgata: “Ephron o Ephraim, là dove venne il Signore”. 

   Contrariamente a molte altre località, segnando Efrem, non marca nessun edificio, forse per rendere meglio l’idea del deserto. Sant’Epifanio, nel IV secolo, ci ricorda un episodio avvenuto mentre percorreva questa via in compagnia di un giudeo. Il santo gli parlò di Cristo e questi non fece opposizione. Il comportamento meravigliò molto il santo, abituato a ricevere i controbattiti degli ebrei, e gli domandò la ragione. Questi rispose che credeva in Cristo perché una volta mentre era moribondo sentì sussurrare al suo orecchio. Per amore di Cristo l’ebreo si era offerto a percorrere questa via del deserto, oggi comodamente asfaltata. 

Il pozzo di Giacobbe   Gesù si fermò al tradizionale Pozzo di Giacobbe e, mentre i discepoli andavano a cercare da mangiare, una donna samaritana andò ad attingere l’acqua al pozzo. Qualunque intenzione avesse la donna nell’andare al pozzo, ella non si aspettava, certo, una conversazione come quella di Gesù e ne rimase convinta (Gv 4,5-42). Andò a esprimere la sua gioia agli abitanti del villaggio vicino che accorsero anch’essi a parlare con Gesù rimanendone parimenti entusiasti. Invitarono il Maestro ed i discepoli a trattenersi nel villaggio che da quel momento si poté considerare come cristiano e come una fondazione dello stesso Signore. 

    IL VILLAGGIO DI SICHAR. Il villaggio in questione nel Vangelo è chiamato Sichar e non si sa esattamente a che cosa corrisponda. Alcuni pensano a Sichem, la vecchia città ormai in rovina posta sul fianco nord, altri al villaggio di Ascar situato a nord est il quale conserva resti archeologici dei periodo. Comunque sia, la questione ha poca importanza perché si tratta di un villaggio posto nonIl Monte Garizim, situato poco lontano dall'antica città di Sichar lontano dal pozzo. Appunto per la conversione della gente il pozzo cominciò ad essere denominato della Samaritana. Pochi anni dopo la morte del Signore, Filippo il Diacono evangelizzò la città di Samaria Sebaste e gli apostoli Pietro e Giovanni furono inviati dalla chiesa madre di Gerusalemme a organizzare i nuovi fedeli. In questa occasione i due apostoli, che avevano accompagnato Gesù quando si fermò al pozzo, “evangelizzarono molte borgate dei Samaritani” come afferma san Luca (At 8,25). Si può credere che i detti apostoli, già ospiti graditi degli abitanti di Sichar, fossero ritornati alle vecchie conoscenze. San Giustino, nativo della vicina Flavia Neapoli, l’odierna Nablus, situata a qualche chilometro dal pozzo, parlando dei cristiani ricordò anche le comunità samaritano cristiane sorte in mezzo ai samaritani e gli ebrei (PG 6,407 8), sebbene le creda meno organizzate e meno numerose di quelle dei gentili. È logico pensare che Sichar rimanesse sempre cristiana perché il pozzo divenne presto un luogo dove si conferiva il battesimo. Lo menziona espressamente l’anonimo pellegrino venuto da Bordeaux nell’anno 333: “balneus qui de eo puteo lavantur”. 

   Nel Medio Evo il pozzo fu occupato da una comunità latina, dipendente dall’abbazia benedettina di Betania, che ricostruì la chiesa primitiva ormai rovinata, ma, caduto il Regno Latino, anche questa seconda chiesa andò in rovina. Il francescano p. Niccolò da Poggibonsi, che la vide nel 1347, la disse “guasta” ed il pozzo “quasi ripieno”. Il p. Quaresmi, che visitò il luogo quasi tre secoli dopo, scrisse che i greci venivano alla rovina della chiesa ogni tanto per celebrarvi delle funzioni religiose e che chiudevano la porta del recinto. Nel 1860 essi riuscirono a divenire proprietari tenendo il posto fino ai nostri giorni. Nel 1893, riuscirono a pulire il pozzo. Una chiesa iniziata avanti della guerra mondiale dei 1914 è rimasta ancora da finire. All’ingresso della proprietà greca, che custodisce il tradizionale pozzo, vi è un sarcofago assai singolare. Nel lato lungo, esso è ornato da festoni che racchiudono lo scudo delle Amazzoni e nel lato corto da una croce in rilievo. Siccome la fattura dello scudo ci riporta verso il II-III secolo, così a questa data si può riportare l’intero sarcofago e conseguentemente il rilievo della croce. Si tratterebbe di una presenza samaritano cristiana nel periodo precostantiniano. Tra i materiali riadoperati dai crociati nell’erigere una grande chiesa, nel posto di quella a croce, vi è un’iscrizione samaritana che reca il decalogo. Essa è conservata oggi nel piccolo museo del luogo e potrebbe fornirci un’altra testimonianza della detta comunità. Per formulare l’ipotesi teniamo presenti le iscrizioni samaritane rinvenute al Monte Nebo (LA 17 (1967), pp. 162 221) nelle quali si ritrovano frasi di sapore cristiano ed un amuleto con diciture samaritane e l’emblema della croce, in cui si parla della dottrina della rigenerazione (LA 23 (1973), pp. 286 317). Sotto l’imperatore Giustiniano alcuni samaritani si convertirono al cristianesimo per opportunità, continuando a praticare le cerimonie religiose samaritane. Accenna ad essi Procopio nella Storia Arcana (XI, trad. Astuti, Roma 1944, p. 118). 

   Il cristianesimo a Sebaste, l’antica capitale di Samaria, ebbe inizio subito dopo la morte di santo Stefano quando i fedeli, dice san Luca, si dispersero, “per le regioni della Giudea e della Samaria” (Atti 8,1). Continuò modestamente fino al Concilio di Nicca del 325, poi si sviluppò, nonostante la breve reazione pagana sviluppatasi sotto Giuliano l’Apostata nel 362, fino all’occupazione araba del 638. Riprese vita col regno latino nel XII secolo per poi estinguersi, piano piano, nel secolo XVIII. “Filippo, - prosegue san Luca, - entrato nella città della Samaria predicava loro il Messia. E le folle, unanimi, prestavano orecchio alle cose dette da Filippo, all’udirlo e vedere i prodigi che faceva. Infatti da molti invasati uscivano gli spiriti, gridando a gran voce, e molti paralitici e zoppi furono guariti. Così fu grande allegrezza in quella città” (5-8). Fra la gente che si faceva battezzare vi era anche Simon Mago attratto dai prodigi. Gli apostoli che erano in Gerusalemme, venuti a conoscenza dell’operato di Filippo inviarono Pietro a Giovanni per stabilire saldamente la chiesa col far discendere lo Spirito Santo. E’ in questa occasione che Simon mago offrì a Pietro moneta per poter fare i miracoli. L’Angelo del Signore rapì Filippo perché andasse ad evangelizzare altrove; gli Apostoli fecero ritorno a Gerusalemme. Chi restò per dirigere la chiesa nascente? Non si può immaginare che i responsabili la lasciassero senza capi. Il catalogo detto De septuaginta Discipulis, attribuito a Doroteo vescovo di Tiro, fa succedere a Filippo, come primo vescovo, il diacono Nicola, uno dei sette ordinati da san Pietro. È difficile controllare la storicità di tale notizia perché le altre fonti antiche tacciono su questo argomento, come per tutti gli altri capi fino alla pace costantiniana. 

 Ringraziamo Padre Rosario Pierri, Segretario dello Studio Biblico Francescano di Terra Santa per l'autorizzazione alla pubblicazione