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La Parabole della Misericordia

   Non possiamo fare un cammino di ricerca del Gesù storico senza porre l’attenzione su quello che gli studiosi d’oggi considerano un elemento essenziale della missione del Maestro di Nazareth: il carattere sapienziale del suo insegnamento. Ed è proprio in questo ambito, che ora poniamo l’accento, considerando in particolare le parabole della misericordia. 

   In questa nostra ricerca vedremo innanzitutto il messaggio di Gesù contenuto in queste parabole. Poi cercheremo di verificare la loro storicità e, infine, trarremo le somme verificando ciò che queste parabole ci dicono di Gesù e della sua identità. 

   Le parabole in questione sono: la pecorella smarrita, la dramma ritrovata ed il figliuol prodigo. Ma prima di prestare attenzione a questi testi, è importante inquadrare la cornice storico-sociale, cioè il tipo di uditorio a cui è rivolto il messaggio delle tre parabole di Luca. E’ la folla di Galilea, quella composta da ogni tipo di persone, soprattutto la gente semplice ed umile. C’è anche l’élite della società ebraica: Gli scribi ed i farisei. Infine ci sono, in mezzo agli altri, due categorie di persone associate sempre nella condanna del mondo religioso: i pubblicani ed i peccatori: "Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: «Costui riceve i peccatori e mangia con loro». Allora egli disse loro questa Gesù cerca l'anima smarritaparabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. O quale donna, se ha dieci dramme e ne perde una, non accende la lucerna e spazza la casa e cerca attentamente finché non la ritrova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi con me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta. Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte»"(Lc 15,1-10). 

   Un pastore s’avvede di aver lasciato per strada una delle cento pecore. E allora lascia le 99 per andare alla ricerca della pecorella smarrita. E una volta ritrovata corre dai suoi amici per dare la buona notizia. 

   Al termine di questo brano Gesù conclude: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione”. 

   La seconda parabola narra della donna che custodisce gelosamente il suo patrimonio di denaro (dieci dramme). S’avvede di aver smarrito una dramma e subito si mette a cercarla, rovistando per tutta la casa. E quando la trova invita le amiche a rallegrarsi con lei. Anche qui c’è il commento conclusivo di Gesù: Così, vi dico, c’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte»(Lc 15,1-10). 

    Ed ecco la terza parabola, la più rappresentativa delle tre: "Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: E‘ tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»"(Lc 15,12-28). 

    Mentre nelle parabole precedenti i protagonisti sono il buon pastore e la donna di casa, qui, invece, è il Padre. Appare chiaro come Gesù si rivolga ai due gruppi che sono presenti in questo momento della sua predicazione: i peccatori, che individua nel figlio perduto e poi ritrovato, ed i farisei che identifica nel primo figlio, quello che non ha abbandonato il Padre.

   Nell’insegnamento di Gesù, anche se il figlio è peccatore, il Padre non lo ha dimenticato e quando è ancora lontano il padre lo vede e commosso gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia. Gesù identifica il fratello maggiore negli scribi e farisei, coloro cioè che si considerano fedeli alla Torah, eppure hanno smarrito il volto stesso di Dio e “al suo posto se ne hanno costruito uno senza volto e senza cuore, esattore scrupoloso, e, proprio per questo, impietoso di quanto gli deve ogni uomo. Un Dio simile rende atei gli uomini. Ma il Dio di Gesù è diverso: è vero Dio, cioè Padre”(Antonio Fanuli, Le parabole della misericordia, in Storia di Gesù, 3° vol. Ed. Rizzoli, 836). 

   L’abbraccio del Padre significa, per il Figlio ritrovato, la restituzione dell’antica dignità perduta, la riammissione al posto d’onore della famiglia, l’intimità familiare. L’amore ed il perdono del Padre vuol dire proprio questo: l’amore di Dio non conosce confini, ma si china misericordioso sull’uomo e sull’uomo peccatore. 

   E’ qui il cuore della rivelazione, il centro di quel messaggio di salvezza che Gesù annunzia, non solo agli scribi, ai farisei e ad ogni pio israelita; ma soprattutto ai pubblicani ed ai peccatori, alle meretrici ed a tutti coloro che si sentono “lontani” dallo sguardo Amoroso di Dio (Cfr. Donato Calabrese, Il rosario delle beatitudini, Beati i misericordiosi, Ed. Paoline). 

   Costatata, allora, la sublimità di questo messaggio, ci chiediamo ora se esso ha un suo fondamento storico e cosa ci dice a riguardo di Gesù. 

    Due delle tre parabole della misericordia, la dramma ritrovata ed il figliuol prodigo, sono riportate solo nel vangelo di Luca, mentre quella della pecorella smarrita è menzionata, seppur con delle piccole variazioni, anche nel Vangelo di Matteo. 

   E’ chiaro che in questi racconti c’è un primo fondamento storico evidenziato dal fatto che il messaggio annunciato, quello di un Dio che va in cerca del peccatore, seppur presente nell’Antico Testamento (Cfr. Sal 103, 8-18; 130,3-4; Ger 31,20; Ez 18,21-23; 33,11; cfr. Is 55,7 ed altri ancora. Cfr. A Sisti, Misericordia, Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, 981) è estraneo all’ambiente giudaico del tempo di Gesù. Quindi abbiamo un primo indizio in quanto “si possono considerare come appartenenti a Gesù quelle parole o quei fatti che non si possono attribuire né al pensiero, né alle abitudini, né alle tendenze dell’ambiente ebraico” (Cfr. Conzelmann, Jesus, in 3/RGG III, 623, in Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei vangeli, tradizione cristiana primitiva. Ed. Servitium, 87). Anzi nel mondo sociale e religioso degli ebrei i pubblicani “sono odiati dal popolo e considerati alla stessa stregua dei peccatori e delle prostitute (Cfr. pubblicano, in Dizionario enciclopedico della Bibbia e del mondo Biblico, Ed. Massimo, 616). 

    C’è un’altra testimonianza a favore della storicità delle parabole della misericordia, specialmente di quella della pecorella smarrita. La testimonianza proviene da una fonte molto considerata dagli studiosi contemporanei: il Vangelo apocrifo di Tommaso, una collezione di detti sapienziali di Gesù, un testo molto antico giunto a noi in copto ma, originariamente di lingua siriaca. Secondo Pius-Ramon Tragan, l’origine della raccolta di lógia, detti di Gesù, contenuta in questo Vangelo va ricercata nella predicazione degli itineranti galilei, coloro cioè che iniziarono a trasmettere l’insegnamento del Nazareno dopo la sua scomparsa dall’area geografica in cui egli era ben conosciuto (Pius-Ramon Tragan, La preistoria dei vangeli, tradizione cristiana primitiva. Ed. Servitium, 172). Ed è proprio il Vangelo di Tommaso a contenere tra le altre parabole, quella della pecorella smarrita. Non solo, ma anche in un altro testo antico apocrifo, chiamato il Vangelo della verità, troviamo presente la medesima parabola della pecorella smarrita (Cfr. Emilio Rasco, Evoluzione nella tradizione: un esempio, in Storia di Gesù, vol. 3, Ed. Rizzoli, 832).

   Quindi, a parte i limiti, per due parabole, della sola attestazione di Luca, controbilanciati peraltro dallo spirito di ricerca storica indicato dallo stesso evangelista quando nel prologo sostiene chiaramente di aver fatto ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi (Lc 1,3), possiamo ben pensare che queste parabole della misericordia abbiano un solido fondamento storico, comprovato soprattutto dal fatto che la premura di Gesù verso i peccatori è un atteggiamento originale del Gesù storico, specialmente nella sua qualità di Rabbi, di Maestro. 

    Inoltre, il fatto che la parabola della pecorella smarrita sia attestata da Matteo (Mt 18,12-14) e Luca (Lc 15, 4-7), dimostra che quasi certamente i due vangeli sono partiti da una fonte comune alla quale, più tardi, faranno riferimento il Vangelo apocrifo di Tommaso ed il Vangelo della verità (Cfr. Emilio Rasco, Evoluzione nella tradizione: un esempio, in Storia di Gesù, vol. 3, Ed. Rizzoli, 832). Una fonte ovviamente più antica dei due vangeli. E allora, cosa ci dicono del Gesù storico, le parabole della misericordia? Cosa ci rivelano della sua identità? 

   Un dato è sicuro al cento per cento. Il Gesù storico ha il volto misericordioso verso i piccoli (Mt 18,12-14) e verso i peccatori(Lc 15,4-7). Una premura che dimostra l’originalità di un sentimento sublime e paterno che invita i peccatori alla conversione perché anche loro sono invitati al banchetto del Regno.