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Sant'Ilario di Poitiers (315?-367)

  Il periodo che va dal 4° al 5° secolo dell'era cristiana rappresenta l'epoca aurea della letteratura teologica latina.   

  Ilario di Poitiers è certamente il primo grande Padre della Chiesa latina. Discendente da una nobile famiglia pagana, Ilario cerca il senso della vita nella conoscenza delle dottrine neoplatoniche. Poi, grazie alla lettura della Bibbia, diviene cristiano e, intorno all'anno 350, è chiamato a coprire la cattedra vescovile della sua città. 

   Durante la sua vita combatte l'eresia ariana, come sant'Atanasio di Alessandria, tanto da essere chiamato "l'Atanasio dell'occidente".

   Esiliato dall'imperatore Costanzo, trascorre quattro anni in Frigia, dove può approfondire la conoscenza dei Padri greci, divenendo anche mediatore della spiritualità orientale ed occidentale. 

   Le opere di Ilario sono per lo più scritti occasionali storico polemici, provocati dalle controversie dogmatiche. Ma ha scritto anche commenti sul vangelo di Matteo, con esegesi tipologico-allegorica, commenti sul salmi e sui tipi dell'Antico Testamento. Ma il suo capolavoro è l'opera De Trinitate (Cfr. K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, 1-L'antichità cristiana, Ed. Morcelliana, 1973, 474 s..)  

   Dal Trattato «Sulla Trinità» di sant`Ilario, vescovo (Lib. 8,13-16; PL 10, 246-249)

   La naturale unità dei fedeli in Dio mediante l'incarnazione del Verbo e il sacramento dell'Eucaristia

  E' indubitabile che il Verbo si è fatto carne (Gv 1, 14) e che noi con il cibo eucaristico riceviamo il Verbo fatto carne. Perciò come non si dovrebbe pensare che dimori in noi con la sua natura colui che, fatto uomo, assunse la natura della nostra carne ormai inseparabile da lui, e unì la natura della propria carne con la natura divina nel sacramento che ci comunica la sua carne? In questo modo tutti siamo una cosa sola, perché il Padre è in Cristo, e Cristo è in noi. Dunque egli stesso è in noi per la sua carne e noi siamo in lui, dal momento che ciò che noi siamo si trova in Dio. In che misura poi noi siamo in lui per il sacramento della comunione del corpo e del sangue, lo afferma egli stesso dicendo: E questo mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete; poiché io sono nel Padre e voi in me e io in voi (cfr. Gv 14, 17-20). Se voleva che si intendesse solo l'unione morale o di volontà, per quale ragione avrebbe parlato di una graduatoria e di un ordine nell'attuazione di questa unità? Egli è nel Padre per natura divina. Noi siamo in lui per la sua nascita nel corpo. Egli poi è ancora in noi per l'azione misteriosa dei sacramenti. Questa è la fede che ci chiede di professare. Secondo questa fede si realizza l'unità perfetta per mezzo del Mediatore. Noi siamo uniti a Cristo, che è inseparabile dal Padre. Ma pur rimanendo nel Padre resta unito a noi. In tal modo arriviamo all'unità con il Padre. Infatti Cristo è nel Padre connaturalmente perché da lui generato. Ma, sotto un certo punto di vista, anche noi, attraverso Cristo, siamo connaturalmente nel Padre, perché Cristo condivide la nostra natura umana. Come si debba intendere poi questa unità connaturale nostra lo spiega lui stesso: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui» (Gv 6, 56). Nessuno sarà in lui, se non colui nel quale egli stesso verrà, poiché il Signore assume in sé solo la carne di colui che riceverà la sua. Il sacramento di questa perfetta unità l'aveva già insegnato più sopra dicendo: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Gv 6, 7). Egli vive in virtù del Padre. E noi viviamo in virtù della sua umanità così come egli vive in virtù del Padre. Dobbiamo rifarci alle analogie per comprendere questo mistero. La nostra vita divina si spiega dal fatto che in noi uomini si rende presente Cristo mediante la sua umanità. E, mediante questa, viviamo di quella vita che egli ha dal Padre. Dio, Verbo del sommo Padre, non abbandonò la natura degli uomini che andava alla deriva, ma con l'offerta del proprio corpo annientò la morte, in cui era incappata, fugò l'ignoranza con il suo ammaestramento, e rinnovò tutte le cose con la sua forza e la sua potenza. Chiunque potrà trovare conferma di tutto ciò nell'autorità di quei conoscitori di Dio che sono i discepoli del Salvatore. Hanno infatti lasciato scritto: L'amore di Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti perché noi non viviamo più per noi stessi, ma per chi è morto per noi ed è risorto dai morti, per il Signore nostro Gesù Cristo (cfr. 2Cor 5,14-15). E ancora: «Colui che fu fatto di poco inferiore agli angeli, Gesù, noi lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio esperimentasse la morte a vantaggio di tutti» (Eb 2,9). Poi il medesimo testo chiarisce perché non altri che il Verbo di Dio doveva farsi uomo, osservando che «era ben giusto che colui per il quale e dal quale sono tutte le cose, volendo portare molti figli alla gloria, rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che guida alla salvezza» (Eb 2,10). E con queste parole mostra che gli uomini dovevano essere liberati da tutte le forze corrompitrici del mondo non da altri che dal Verbo di Dio, dal quale all'inizio erano stati creati. Che poi il Verbo stesso abbia preso corpo per farsi vittima per corpi simili al suo, lo manifestano anche queste parole: «Poiché, dunque, i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch'egli ne è divenuto partecipe, per ridurre all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano tenuti in schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,14-15).  Appunto immolando il proprio corpo pose fine alla legge promossa contro di noi e con la speranza della risurrezione diede un nuovo inizio alla nostra vita. La morte aveva ricevuto forza dagli uomini contro gli uomini. Ma il Verbo di Dio venuto fra gli uomini annullò la morte e rinnovò la vita. Lo dice un uomo ricolmo di Cristo: «Poiché infatti a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti. E come tutti muoiono in Adamo così anche tutti riceveranno la vita in Cristo» (1Cor 15,21-22). Non moriamo come destinati alla condanna, ma come destinati ad essere svegliati dai morti. Noi aspettiamo la risurrezione universale, che sarà operata, a suo tempo, da Dio autore e benefattore dell'uomo.

FONTE http://www.maranatha.it