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Sant'Ambrogio (339-397)

   Nato a Treviri, in Gallia, da nobile famiglia romana, dopo la morte del padre, con la madre e i fratelli Marcellina e Satiro, Ambrogio torna a Roma. La sorella si consacra a Dio prendendo il velo delle vergini, mentre il fratello, Satiro, muore nel 378. 

   Ambrogio studia retorica e giurisprudenza a Roma. Intorno all'anno 370 diviene governatore (legatus consularis) dell'Italia settendrionale, con sede a Milano. Dopo la morte del vescovo ariano Aussenzio, sebbene sia un semplice catecumeno, viene eletto all'unanimità, da clero e popolo, a suo successore (374), ricevendo quindi il battesimo e, nel giro di otto giorni, gli ordini sacri, compreso quello vescovile.

   Sotto la guida del presbitero Simpliciano, che diventerà poi suo successore, perfeziona gli studi teologici, con speciale riguardo ai Padri greci.

   Distributo ai poveri il suo patrimonio, Ambrogio vive una vita di rigorosa ascesi, esercitando la carità verso tutti come grande pastore e dottore del suo popolo. La sua influenza è particolarmente decisiva nella situazione ecclesiastica e politica dei suoi tempi. Lotta strenuamente ed inflessibilmente per il riconoscimento esclusivo della Chiesa di fronte al paganesimo, all'arianesimo e alle altre eresie; come anche per la sua libertà e autonomia rispetto al potere politico, portando avanti, dinanzi all’Imperatore, non solo i diritti della Chiesa, ma l’autorità dei suoi pastori, e difendendo con gli scritti e con l'azione la dottrina della vera fede contro gli Ariani.  La sua produzione letteraria deriva, in massima parte, dalle prediche e dalla catechesi. Opere di carattere esegetico sono, tra l'altro, Exameron e il Vangelo di Luca. La sua spiegazione della Sacra Scrittura è tutta allegorico-mistica e moralizzante. Abbondanti gli scritti polemico-dogmatici (uno trai i tanti è De Paenitentia). Ci sono anche argomenti di etica cristiana.

   Ambrogio ha esaltato anche la verginità consacrata a Dio e la Madre di Dio Maria, oltre ad essere autore di straordinari discorsi funebri, di molte lettere e, soprattutto, di una serie di inni, molti dei quali si cantano ancora oggi nella Chiesa. Stupisce che Ambrogio, impegnato su tanti fronti, abbia potuto trovare il tempo per la composizione di tante opere. La maggior parte di esse non contiene speculazioni dogmatiche, ma è strettamente legata al suo ministero pastorale, e anche in questo Ambrogio rivela la sua forma mentis tipicamente romana, cioè pratica.

   Muore il sabato santo 4 aprile del 397.


   S. Ambrogio - La Penitenza 

   LIBRO PRIMO

   Capitolo 1

    ...Il pastore, quello ben noto del Vangelo, non ha abbandonato la pecora stanca, ma se l'è messa in spalla. Salomone dice: "Non essere troppo giusto". La dolcezza ha il compito, appunto, di lenire la giustizia. Con quale animo, infatti, si potrebbe sottoporre alle tue cure chi hai in antipatia ed è convinto che sarà non già oggetto di pietà, bensì di disprezzo da parte del suo medico? Gesù ha avuto misericordia di noi non per allontanarci, ma per chiamarci a sé. E' venuto mite, umile. Ha detto: "Venite a me, voi tutti che siete affaticati, e io vi ristorerò". Il Signore, dunque, guarisce senza eccezioni, senza riserve. A ragione, ha scelto discepoli che, interpreti del suo volere, raccogliessero e non tenessero lontano il popolo di Dio. Ovviamente, non sono da annoverare tra i discepoli di Cristo coloro i quali pensano che la durezza sia da preferire alla dolcezza, la superbia all'umiltà e che, mentre invocano per sé la divina pietà, la negano agli altri, come appunto fanno i dottori Novaziani che si fregiano dell'appellativo di "puri".

   Capitolo 3

    L'Apostolo, suo fedele interprete, dice: "Dio mandò il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato, e in vista del peccato, ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi". Non dice "a somiglianza della carne", perché Cristo ha assunto la realtà della carne umana, non la parvenza. Né dice "a somiglianza del peccato", giacché "egli non ha commesso peccato" ma ha preso le sembianze del peccato per la nostra salvezza. E' venuto "a somiglianza di carne del peccato", cioè ha assunto la parvenza della carne peccatrice. Perciò "somiglianza", poiché sta scritto: "E' uomo e chi sa conoscerlo?". Era, cioè, uomo nella carne in conformità alla natura dell'uomo, e poteva essere conosciuto. Era uomo fornito di doti trascendenti l'umana possibilità, l'uomo, pertanto, di cui è detto "chi sa conoscerlo?". Aveva la nostra carne, ma era immune dai difetti di questa. Non era stato, infatti, generato come gli altri uomini dall'accoppiamento del maschio e della femmina. Concepito dallo Spirito Santo e dalla Vergine, aveva assunto un corpo mortale, non solo non macchiato da alcuna colpa ma neppure sfiorato da quell'ignominioso miscuglio di sostanze proprio della nascita o del concepimento. Noi mortali nasciamo, infatti, all'insegna del peccato. Il nostro primo vedere la luce è già nella colpa, come leggiamo in David: "Ecco nella colpa sono stato generato, nel peccato mi ha concepito mia madre". La carne di Paolo era il corpo della morte, come egli dice: "Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?". La carne di Cristo ha condannato quel peccato dal quale il Signore, nascendo, fu immune, e che, morendo, ha crocifisso, affinché nella nostra carne, ove prima era macchia a causa della colpa, ci fosse giustificazione in virtù della grazia. "Che diremo dunque in proposito" se non ciò che l'Apostolo ha detto: "Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ha donato ogni cosa insieme con lui? Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica. Chi condannerà? Cristo che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?". Cristo, dunque, difende, Novaziano accusa. L'uno ha redento gli uomini perché siano salvi, l'altro condanna a morte. Il primo dice: "Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite", l'altro, al contrario, afferma: Non sono misericordioso. Cristo dice: "Troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio carico leggero", Novaziano, invece, impone un grave peso, un duro giogo.

   Capitolo 4

   Le argomentazioni finora addotte sono sufficienti ad intendere in quale misura Gesù è propenso a perdonare. Tuttavia egli in persona ti sia maestro. Volendoci, infatti, mettere in condizione di affrontare le violenze della persecuzione, dice: "Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l'anima; temete piuttosto chi ha il potere di inviare l'anima e il corpo nella Geenna". Più avanti: "Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi, invece, mi rinnegherà davanti agli uomini, anche io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli". Quando testimonia, lo fa per tutti, senza eccezione; quando rinnega, non ripudia tutti. Sta scritto: "Chiunque mi riconoscerà, anche io lo riconoscerò", cioè testimonierò tutti. Più innanzi avrebbe dovuto dire: "Chiunque, invece, mi rinnegherà". Perché, non apparisse ripudiare tutti, ha però aggiunto: "Chi, invece, mi rinnegherà davanti agli uomini, anche io lo rinnegherò". Assicura a tutti la grazia, non minaccia a tutti la punizione. Esalta quando è di pertinenza dell'indulgenza, rimpicciolisce ciò che è proprio della vendetta. Così sta scritto non solo nel libro del Vangelo di Gesù che si intitola secondo Matteo, ma si può leggere anche in quello che va sotto il nome di Luca. Ciò perché tu sappia che entrambi si sono soffermati sull'argomento, e a bella posta. Abbiamo riportato quanto sta scritto. Ricapitoliamo ora il pensiero. Dice: "Chiunque mi riconoscerà", cioè, chi mi testimonierà, qualunque genere di vita conduca, qualunque sia la sua condizione, troverà in me chi saprà ricompensarlo della testimonianza. Quando è detto "chiunque" non si esclude dalla ricompensa nessuno che lo testimonierà. Non ugualmente chiunque rinnegherà, sarà rinnegato. Può verificarsi che qualcuno non reggendo alla tortura ripudi con la bocca, ma nel suo intimo adori Dio.

   Capitolo 5 Non è forse chiaro che Gesù si sdegna con noi peccatori allo scopo di convertirci mediante il terrore suscitato dalla sua collera? La sua ira non comporta vendetta, bensì suona preludio di indulgenza. Ha detto: "Se piangerai contrito, ti salverai". Attende, pertanto, i nostri sospiri, quelli temporali, per condonare gli eterni. Esige il nostro pianto per elargire la misericordia. Nel Vangelo, mosso a pietà dalle lacrime della vedova, ne ha richiamato in vita il figlio. Vuole il nostro pentimento per potere fare ricorso alla grazia, la quale si fermerebbe stabilmente in noi, se non cadessimo nella schiavitù del peccato. Offendiamo Dio con le colpe, ed egli si adira affinché facciamo atto di contrizione. Umiliamoci, dunque, per metterci in condizione di meritare pietà, non castigo.

   Capitolo 8 Il Signore vuole che i suoi discepoli abbiano potere illimitato. Esige che i suoi umili servi operino nel suo nome i miracoli che egli compiva quando era uomo. Dice: "Compirete opere superiori a queste". Ha concesso loro di risuscitare i morti. Pur potendo ridonare a Saulo l'uso della vista, lo ha inviato da Anania suo discepolo, affinché in virtù della sua benedizione riacquistasse la facoltà di vedere che aveva perduta. Ha ordinato a Pietro di camminare con lui sulla distesa del mare. Poiché l'Apostolo appariva pauroso, lo ha biasimato. Con la pochezza della fede, infatti, aveva sminuito la grazia elargitagli. Ha concesso ai discepoli anche di essere la luce del mondo. Poiché un giorno sarebbe disceso dal cielo e ad esso sarebbe asceso, ha rapito in cielo Elia, per restituirlo alla terra, quando gli fosse sembrato opportuno. Poiché avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco, ha preannunziato mediante Giovanni il sacramento del battesimo. Ha elargito, insomma, ogni potere ai discepoli. Afferma in proposito: "Nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno". Tutto ha concesso ai discepoli. La loro potestà umana viene però meno, allorché la grazia del dono divino è operante. Gesù, sul punto di annunziare la remissione dei peccati, a Giovanni che gli dice: "Io devo essere battezzato da te e tu vieni da me" ha risposto: "Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia". Il Signore è venuto dal peccatore. Egli che era immune da colpa, ha domandato di ricevere il battesimo, pur non avendo bisogno di purificazione.

   Capitolo 16

   Giacomo e Giovanni dicevano di invocare dal cielo il fuoco che consumasse le persone non disposte ad accogliere il Signore. Gesù, però, li ha rimproverati, dicendo: "Non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell'uomo, infatti, non è venuto per condurre alla perdizione le anime degli uomini, ma per salvarle". Ha detto: " Non sapete di quale spirito siete", poiché erano del suo medesimo. A voi, invece, dice: Non siete del mio spirito, giacché non emulate la mia clemenza, ripudiate la mia pietà, rinnegate la penitenza che volli venisse praticata nel mio nome dai miei apostoli.


   S. Ambrogio - (De fide, II, 9, 77: SAEMO 15, p. 164); (Explanatio ps. I, 33: SAEMO 7, p. 80.); (Explanatio ps. XLIII, 89: SAEMO 8, p. 188.). 

   “Manteniamo la distinzione tra la natura divina e la carne! In entrambe parla il solo Figlio di Dio, poiché nel medesimo si trova l'una e l'altra natura; anche se è il medesimo a parlare, non parla però sempre in un solo modo. Osserva in lui ora la gloria di Dio, ora le passioni dell'uomo. In quanto Dio, dice le cose che sono di Dio, poiché è il Verbo; in quanto uomo, dice le cose che sono dell'uomo, poiché parla nella mia sostanza”(De fide, II, 9, 77: SAEMO 15, p. 164.)   “Bevi dunque tutt'e due i calici, dell'Antico e del Nuovo Testamento, perché in entrambi bevi Cristo. Bevi Cristo, che è la vite; bevi Cristo, che è la pietra che ha sprizzato l'acqua; bevi Cristo, che è la fontana della vita; bevi Cristo, che è il fiume la cui corrente feconda la città di Dio; bevi Cristo che è la pace”(Explanatio ps. I, 33: SAEMO 7, p. 80.)   “"Egli [Cristo] è l'eterno splendore dell'anima, che il Padre ha mandato sulla terra proprio per questo: per darci la possibilità di contemplare, nella luce del suo volto, le realtà eterne e celesti, prima a noi precluse dalla caligine che ci opprimeva”(Explanatio ps. XLIII, 89: SAEMO 8, p. 188.)   

   FONTE http://digilander.libero.it/magistero/gp2opero.htm SANT'AMBROGIO