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BENEVENTO

cITTà DAI MILLE VOLTI


Un faro di cultura e di spiritualità, voluto da Paldo, Taso, e tato: tre giovani Beneventani vissuti tra la fine del settimo e l’ottavo secolo.


L’ABBAZIA BENEDETTINA DI SAN VINCENZO AL VOLTURNO

                                                               

   Al di là delle influenze e possibili interferenze dei due poteri, del Papa e dei longobardi, è essenziale porre l’accento sul fatto che la nascita e lo sviluppo di questa prestigiosa comunità monastica benedettina sia dovuta soprattutto alla radicale caratterizzazione cristiana ed evangelica dei tre santi fondatori Beneventani: Paldo, Taso, e Tato.  Quindi, anche a San Vincenzo al Volturno è avvenuto ciò che lo Spirito di Cristo ha suscitato nel Popolo di Dio d’oriente e d’occidente, con la creazione e la crescita di cenobi, di abbazie, di monasteri, che per tutto il medioevo esercitano una grande influenza etica, cristiana, culturale, sul mondo cristiano, e non solo. Tutto è nato in oriente con Sant’Antonio Abate e i Padri del deserto. San Benedetto da Norcia ha, poi, iniziato in occidente, quella vita monastica e radicalmente cristiana ed evangelica fondata sulla sua regola, composta a Montecassino verso l’anno 540, prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche san Pacomio e altri. 


Donato Calabrese


   L’abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno  viene fondata, tra la fine del VII e gli inizi del VIII secolo, da tre giovani beneventani: i fratelli Tato e Taso, e il loro cugino Paldo. 

   Desideroso di un distacco dal mondo, Paldo e i suoi due più giovani compagni e consanguinei, i fratelli Tato e Taso, abbandonano Benevento e il contesto aristocratico urbano della capitale longobarda del Ducato, per intraprendere un pellegrinaggio, prima a Roma e poi in Francia, alla ricerca di un luogo dove vivere nella pace e nella preghiera. 

   Desiderosi di condurre vita ascetica, Paldo, Tato e Taso (chiamati pure Paldone, Tatone, e Tasone), sono dissuasi dal recarsi nelle Gallie dall’abate di Farfa, Tommaso di Morienna, ed acconsentendo  ai desideri dei familiari e parenti di Benevento, tornano nel Sannio, precisamente ai piedi delle vette delle Mainarde, nell’alta valle del Volturno, oggi provincia di Isernia (siamo sempre nei territori dell’antico Sannio e del Ducato longobardo di Benevento), dove fondano il cenobio di San Vincenzo nei pressi di un oratorio dedicato a questo martire. Anche il duca di Benevento Gisulfo I (686-703) appoggia l’iniziativa, donando terreni incolti che vanno a costituire la terra sancti Vincentii e dove, tra la fine del VII e gli inizi dell’VIII secolo, è ricostruita, probabilmente con funzione di prima chiesa abbaziale, una basilica funeraria del V secolo. 

   La visita al monastero da parte del duca beneventano, accompagnato dai nobili genitori dei tre fondatori, e il suo patrocinio alla fondazione, permettono di ipotizzare che lo stesso Paldo, così come Taso e Tato, possano far parte del gruppo dei parenti dello stesso duca.

   Diversamente dalla data tradizionale del 703 tramandata dal Chronicon, gli studiosi concordano oggi nel datare la fondazione di San Vincenzo tra il 684 e il 708, periodo coincidente con il governo di Gisulfo I, il quale con l’appoggio dell’aristocrazia prosegue la politica di promozione di centri monastici nel ducato beneventano, che l’Historia Langobardorum e la Vita Barbati attribuiscono alla madre Teoderada, molto legata alla fede cristiana e all’abbazia di San Vincenzo. Moglie del duca di Benevento Romualdo, per l’influenza del vescovo Barbato, Teodorada è stata la fautrice della conversione al cattolicesimo dei Longobardi, ariani o ancora pagani, dell’Italia meridionale. 

   Primo abate del nascente monastero è Paldo, strenuo difensore della povertà e dell’osservanza monastica, morto il quale, nell’anno 720, succede il parente Taso, che rimane in carica una prima volta, per pochissimo tempo, dato che, a causa di alcune norme penitenziali da lui introdotte, un gruppo di monaci elegge abate il fratello Tato. Il provvidenziale intervento di papa Gregorio II evita una crisi profonda della comunità alla quale, all’atto della fondazione, ha concesso alcuni privilegi.  

   Nell’anno 760 circa, Arechi II, principe di Benevento, concede al monastero un’ampia estensione di terre con le relative chiese, mentre a poco prima del 774 sono riferibili alcuni diplomi di re Desiderio con la donazione del monastero di San Pietro in Trita e di tutti i suoi possedimenti.         

   Al di là delle influenze e possibili interferenze dei due poteri, del Papa e dei longobardi, è essenziale porre l’accento sul fatto che la nascita e lo sviluppo di questa prestigiosa comunità monastica benedettina sia dovuta soprattutto alla radicale caratterizzazione cristiana ed evangelica dei tre santi fondatori Beneventani: Paldo, Taso, e Tato.  Quindi, anche a San Vincenzo al Volturno è avvenuto ciò che lo Spirito di Cristo ha suscitato nel Popolo di Dio d’oriente e d’occidente, con la creazione e la crescita di cenobi, di abbazie, di monasteri, che per tutto il medioevo esercitano una grande influenza etica, cristiana, culturale, sul mondo cristiano, e non solo. Tutto è nato in oriente con Sant’Antonio Abate e i Padri del deserto. San Benedetto da Norcia ha, poi, iniziato in occidente, quella vita monastica e radicalmente cristiana ed evangelica fondata sulla sua regola, composta a Montecassino verso l’anno 540, prendendo spunto da regole precedenti, in particolare quelle di san Giovanni Cassiano e san Basilio, ma anche san Pacomio e altri. 

   Dopo poco più di due secoli dalla nascita del monachesimo Benedettino, a San Vincenzo al Volturno germoglia una nuova famiglia monastica ispirata sempre alla regola di San Benedetto.    

   Monasticamente l’abbazia palesa una notevole vitalità, coltivando profondi rapporti di amicizia e di fraternità con quella della non lontana Montecassino, al punto che i monaci delle due comunità possono passare dall’una all’altra quasi come membri di una sola famiglia. 

   L’instaurazione dell’Impero carolingio accelera il moto ascensionale del monastero di San Vincenzo, tanto più importante in quanto la sua adesione al partito franco significa, secondo alcuni, il controllo sul principato di Benevento di Arechi II, che riesce a conservare, in un primo tempo, una certa indipendenza anche di fronte a Carlo Magno.

   D’origine franca è il celebre abbate di San Vincenzo: Ambrogio Autperto. Ma lasciamo parlare il Papa emerito, Benedetto XVI, che nell’udienza generale di mercoledì 22 aprile 2009, parla di questa figura illustre della storia dell’abbazia: “Autperto venne in Italia ed ebbe modo di visitare la famosa abbazia benedettina di San Vincenzo, alle sorgenti del Volturno, nel ducato di Benevento.

   Fondata all’inizio di quel secolo dai tre fratelli beneventani Paldone, Tatone e Tasone, l’abbazia era conosciuta come oasi di cultura classica e cristiana. 

   Poco dopo la sua visita, Ambrogio Autperto decise di abbracciare la vita religiosa ed entrò in quel monastero, dove poté formarsi in modo adeguato, soprattutto nel campo della teologia e della spiritualità, secondo la tradizione dei Padri. 

   Intorno all’anno 761 venne ordinato sacerdote e il 4 ottobre del 777 fu eletto abate col sostegno dei monaci franchi, mentre gli erano contrari quelli longobardi, favorevoli al longobardo Potone. La tensione a sfondo nazionalistico non si acquietò nei mesi successivi, con la conseguenza che nel 778, Autperto pensò di dare le dimissioni e di riparare con alcuni monaci franchi a Spoleto, dove poteva contare sulla protezione di Carlo Magno. Con ciò, tuttavia, il dissidio nel monastero di S. Vincenzo non venne appianato, e qualche anno dopo, quando alla morte dell’abate succeduto ad Autperto fu eletto proprio Potone (a. 782), il contrasto tornò a divampare e si giunse alla denuncia del nuovo abate presso Carlo Magno. Questi rinviò i contendenti al tribunale del Pontefice, il quale li convocò a Roma. Chiama anche come testimone Autperto che, però, durante il viaggio muore improvvisamente, forse ucciso, il 30 gennaio 784”.

   Ambrogio Autperto vive ed opera in un’epoca segnata da forti tensioni politiche, che si ripercuotono anche sulla vita all’interno dei monasteri. Di ciò abbiamo echi frequenti e preoccupati nei suoi scritti. Egli denuncia, ad esempio, la contraddizione tra la splendida apparenza esterna dei monasteri e la tiepidezza dei monaci: sicuramente con questa critica ha di mira anche la sua stessa abbazia di San Vincenzo al Volturno. Per essa scrive la Vita dei tre Beneventani Tato, Paldo, e Taso, fondatori del monastero, con la chiara intenzione di offrire dei modelli di riferimento alla nuova generazione di monaci. Ma ciò che amo maggiormente di questo monaco straordinario che ha dato lustro più di ogni altro, all’abbazia di San Vincenzo al Volturno, è che, con tutta la sua conoscenza teologica, la profondità della sua scienza, “Autperto sa capire che con la semplice ricerca teologica, Dio non può essere conosciuto realmente com’è. Solo l’amore lo raggiunge”.  Un’asserzione sempre attuale, a dimostrazione che la verità di Dio Amore che ama infinitamente le sue creature, è stabile e non conosce il susseguirsi delle mode e delle tendenze spirituali. Questo i mistici lo sanno. A distanza di circa dodici secoli, detto pensiero dimostra palesemente che Ambrogio Autperto non è stato solo un asceta, ma anche un mistico straordinario. E, come tutti i mistici, con la sua santità, riesce sempre a non far cozzare tra di loro il potere longobardo e quello del Papato. Non è un caso, del resto, che Ambrogio abbia voluto presentare, come modelli di vita monastica, i tre nobili beneventani: Paldo, Tato, e Taso. Prima di lui, in forza della loro santità di vita, sono stati capaci di impedire che le logiche del mondo papale e longobardo, potessero interferire con l’autentica vita religiosa dei monaci di San Vincenzo al Volturno. Cosa che, purtroppo, non è successo nella storia dell’abbazia, quando, dopo la morte di Ambrogio Autperto, persiste una tensione latente tra un gruppo di fedeli discepoli, fautori dell’indirizzo politico incline ai Franchi, in ossequio ai quali Carlo Magno concede, nel 787, il famoso privilegio dell’immunità ed il diritto della libera elezione abbaziale, e un altro gruppo ancora attaccato alla patria beneventana e, quindi, diffidente verso i Franchi. 

   La decadenza dell’abbazia inizia dopo la morte dell’abbate Epifanio, allorché viene in parte distrutta da un violento terremoto, prima, e altri eventi politici e militari che ne causano il tracollo. Difatti, il 10 ottobre 881, mentre i monaci ritornano da una visita alla comunità di Montecassino, si abbatte su San Vincenzo una turba di Saraceni guidati dal feroce Saugdan, causando la morte di centinaia di monaci, mentre tutto il monastero viene saccheggiato e rovinato. 

   Oggi, dopo secoli di silenzio, nella Terra di San Vincenzo al Volturno riecheggiano di nuovo i canti monastici benedettini. C’è un nuovo monastero, ai piedi delle Mainarde. Una comunità benedettina femminile che si accinge ad aprire un altro capitolo della ricca e movimentata storia di San Vincenzo al Volturno accogliendo le parole di uno di questi fondatori Beneventani, uniti non solo dal vincolo del sangue e dall’amore per la propria città e della propria Terra Sannita, ma da un amore trasfigurato dalla Grazia, e quindi profondamente dilatato dall’amore di Cristo: 

“HOC SANCTE CONGREGACIONIS MONASTERIUM USQUE AD FINEM SECULI AD LUCRANDAS ANIMAS PERMANEBIT”

“E QUESTO MONASTERO DELLA SANTA CONGREGAZIONE PERDURERA’ FINO ALLA FINE DEL MONDO PER ACQUISTARE ANIME”