“Va dove ti porta il cuore”

Guida Turistica e spirituale
Pietrelcina e Padre Pio

Donato Calabrese

Guida  Turistica Padre Pio da Pietrelcina  e Benevento

Quante volte, per questo viottolo lungo e comodo, almeno nella parte iniziale, egli si immerge nella preghiera sua preferita, con la corona del rosario in mano!  Si può dire che la corona del rosario è l’amica inseparabile del Frate di Pietrelcina, la sua inscindibile  compagnia, l’arma privilegiata per vincere le insidie diaboliche e lo strumento umile e nascosto col quale Egli chiede ed ottiene da Dio le grazie più “impossibili”, per  mezzo di Maria santissima.


 IL QUIETO SENTIERO DI “VIA DEL ROSARIO”, A PIETRELCINA

 

 Donato Calabrese

   È una stradina di campagna lunga e sinuosa, semplice e naturale, autentica e riposante; sconosciuta ai più, ma molto cara a tutti coloro che sanno cogliere l’arcano mistero di Dio attraverso i segni più piccoli, umili e semplici offerti dalla natura.

   È l’unica vera, genuina, via Crucis percorsa da Padre Pio. È la via del Rosario, e congiunge l’abitato antico del Castello, a Pietrelcina, con la zona rurale di piana Romana.

   È chiamata via del Rosario perché percorsa più volte al giorno da Padre Pio. Dalla sua infanzia ed adolescenza, fino alla partenza per il convento di Morcone. E poi, dal 1909 al 1916,  nell’età aurea della sua piena conformazione a Cristo crocifisso, avvenuta nel tempo forte della sua dimensione mistica.  Ed il sentiero per Piana Romana deve assomigliare veramente al Calvario, se il giovane sacerdote di Pietrelcina lo percorre perlomeno due volte al giorno, andando e tornando da Piana Romana, non solo per il fatto che la famiglia è al lavoro a piana Romana, ma anche perché il dott. Andrea Cardone di Pietrelcina, medico di famiglia, gli consiglia di respirare aria buona nel piccolo podere di famiglia, su in collina. Con il venticello fresco che spira d’estate, Piana Romana è il luogo ideale per dare sollievo ai suoi polmoni malati.

   Ogni mattina, dopo la consueta celebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale di santa Maria degli Angeli, o in quella di Sant’Anna al Castello, Padre Pio si avvia per piana Romana, scendendo le rampe di scale che menano, ancora oggi, verso l’antico rione Pantaniello, e proseguendo verso il fondo alla valle, per cominciare a percorrere la dolce salita del sentiero di campagna. Quante volte, per questo viottolo lungo e comodo, almeno nella parte iniziale, egli si immerge nella preghiera sua preferita, con la corona del rosario in mano!  Si può dire che la corona del rosario è l’amica inseparabile del Frate di Pietrelcina, la sua inscindibile  compagnia, l’arma privilegiata per vincere le insidie diaboliche e lo strumento umile e nascosto col quale Egli chiede ed ottiene da Dio le grazie più “impossibili”, per  mezzo di Maria santissima.

   Il suo mirabile apprendistato di anima orante, del resto, lo ha misteriosamente vissuto proprio qui, tra il sentiero di campagna ed il territorio di piana Romana.

   Tra i conoscenti del papà di Padre Pio ce n’è uno che ricorda il futuro Santo nella sua infanzia, con la corona del rosario in mano, come quando nel suo piccolo lavoro di pastorello portava al pascolo il minuscolo gregge di famiglia. Le pianure ondulate di Piana Romana offrono ai suoi occhi il panorama incantevole incorniciato dai profili montuosi del Matese, del Taburno e del Partenio. Spesso Francesco si sedeva all'ombra di un albero, sfilava la corona del rosario dalla tasca e comincia ad inanellare le ave Maria, mentre il suo sguardo innocente e puro si perdeva nella sinfonia di colori della natura circostante. È così che lo vide il conoscente di papà Grazio e, restando incantato dal suo esemplare contegno, lasciò questa testimonianza: “Io passavo e vedevo questo ragazzo che aveva la corona in mano e recitava il rosario. Chiamai il padre e gli dissi: «'Razio, tieni nu santariello a pasculare le pecure». Il padre sorrise e non disse niente"[1].

 

   Percorrendo, ora, il sentiero di campagna,  il giovane sacerdote Padre Pio da Pietrelcina, arriva sul ponte di legno (distrutto da una piena e oggi sostituito da un orribile ponte in pietre e cemento) posto sulle placide e povere acque del torrente Quadrielli.  Qui incontra spesso il pastore Giacomo Franciosi, fermandosi a scambiare qualche parola con lui e prendendo un po’ di fiato prima dell’erta finale. A volte, di ritorno dalla Piana, si fa dare anche una quartarella[2] di latte, portandosela a casa[3]

   Da questo ponte inizia il tratto più scomodo del sentiero, che si fa sempre più solitario, irto e sel­vaggio. È un erto pendio che sale lungo il costone occidentale di un basso rilievo collinare. Qui, dove il silenzio è sempre sovrano, seppur interrotto dal cinguettio degli uccelli, Padre Pio prega e soffre, avvertendo profondamente, nelle palme dei piedi, il taglio aguzzo dei sassi conficcati per caso nel terreno: ecco la via Crucis che si coniuga con la via del Rosario.

   Il rosario diviene ancora più pregnante e fecondo, in quanto la preghiera è elevata a Dio dalle pene del duro cammino e della salita ripida che conduce alla piana.

    A piana Romana c’è la famiglia Forgione, al lavoro nei campi.

    Qui la via Crucis ed il Rosario di Padre Pio terminano, lasciando lo spazio ad altri momenti pure graditi ed amati, vissuti sotto un albero ricco di ombra e di verde: il celebre Olmo delle stigmate, situato quasi al centro del podere dei Forgione. Qui, dove il fratello ed i parenti gli hanno costruito un pagliaio per difendersi dal sole, il Frate di Pietrelcina ama sprofondarsi solitario nella preghiera, nella lettura e nella meditazione.  In seguito così confiderà a padre a padre Raffaele da Sant’Elia a Pianisi: “Stavo sempre in campagna a Piana Romana ed i miei, zii e cugini, mi costruirono una capanna o pagliaio ai piedi di quest’albero, anzi poggiata proprio all’albero (l’olmo delle stigmate). È là che io stavo notte e giorno al fresco, per respirare aria pura e salubre. In quella capanna, per me divenuta una vera chiesetta, io facevo tutte le pratiche di pietà, e le mie preghiere notte e giorno»[4].

    

   Nel pomeriggio, Padre Pio riprende la via del ritorno, percorrendo sempre la via del Rosario.  

   Oggi sono ben due le strade comode ed asfaltate che conducono a piana Romana. La prima è quella solita e conosciuta, da sempre percorsa dalle auto e dai pullman dei fedeli e dei devoti.  La seconda è stata costruita alcuni anni fa, ed è molto più corta, sebbene, per un brevissimo, tratto, sia stata erosa a metà da  una frana. Due strade comode e percorribili. Ma i fedeli ed i devoti di Padre Pio cercano sempre l’altra strada: quella semplice ed umile, nascosta tra le colline e quasi invisibile, sassosa ed immersa nel verde: è la via del Rosario: un semplice sentiero campeste dove, nel silenzio, si riesce a cogliere dolcemente, come “il mormorio di un vento leggero”(1Re 19,12), la Presenza dolcissima e soavissima di Dio. È il sentiero percorso da Padre Pio, a Pietrelcina. È il luogo amato e venerato dove è ancora possibile camminare e pregare, stare in silenzio assaporando la mite brezza che aleggia qui; mirare e lodare, vivere e benedire, quel Dio che, nell’amore,  si è manifestato nell’umile Frate di Pietrelcina.

   Con gli occhi della fede non è impossibile, percorrendo questo sentiero, incontrare ancora Padre Pio ed assaporare quel suo sorriso bonario e giocoso, ma anche benedicente. Perché è nel suo nome che noi percorriamo la Via del Rosario, ed è guardando a Lui che percorriamo l’altro sentiero, più difficile e coinvolgente: quello della nostra vita. Ma ci porta lontano: sui sentieri di Dio, nostra Pace, nostra Gioia, nostra Consolazione.

  

 



[1] ALESSANDRO DI RIPABOTTONI, Padre Pio da Pietrelcina, "Il Cireneo di tutti", Edizioni Padre Pio da

      Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, p. 14.

[2] Quartara, recipiente di terracotta.

[3] Cfr. Lino da Prata e Alessandro da Ripabottoni, Beata te Pietrelcina, Frati Cappuccini di Pietrelcina, giugno 1994, 212.     

[4] R. da S. Elia a Pianisi, Appunti su Padre Pio da Pietrelcina in riguardo

 all’origine delle stimmate, ms., f. 3 in APG, in Fernando da Riese Pio X,

Padre Pio da Pietrelcina,  Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, Ed. 1996, 78. 





A TUTTI VOI PELLEGRINI E VISITATORI CHE VENITE A PIETRELCINA E A SAN GIOVANNI ROTONDO

 Per visitare, conoscere, ed amare veramente Padre Pio e i Luoghi che custodiscono i suoi Ricordi soprannaturali a Pietrelcina e dintorni, non affidatevi all’improvvisazione ed alla superficialità, di Guide turistiche che sono estranee al territorio e al Sannio. Ci vuole ben altro per accompagnarvi alla scoperta dell'incommensurabile Mistero d'amore che ha avvolto San Pio qui, a Pietrelcina. In tal caso, non basta una semplice guida turistica, seppure patentata dalla Regione Campania. Occorre ben altro: una guida turistica e Spirituale che abbia incontrato più volte Padre Pio e lo abbia conosciuto: Donato Calabrese.

   Appassionato di mistica e spiritualità cristiana, oltre che Biografo e Storico di Padre Pio, avendolo anche incontrato personalmente varie volte nella sua vita, abbracciando la sua stessa spiritualità e mistica oblativa, per la sua specifica conoscenza della vita di Padre Pio, oltre che della sua spiritualità, Donato Calabrese ha un rapporto spirituale privilegiato con Lui.  


Storico di Padre Pio, guida turistico-spirituale di Pietrelcina e degli itinerari di Padre Pio, studioso della  spiritualità e della mistica della croce, Donato Calabrese apre dolcemente lo scrigno dei tesori e dei carismi di San Pio da Pietrelcina, rivelando i tesori di grazie e di soprannaturale che Dio ha riversato nel cuore del frate stigmatizzato.




CONTINUA IL NOSTRO MERAVIGLIOSO VIAGGIO NELLA VITA E NELLA SPIRITUALITA'  DI PADRE PIO DA PIETRELCINA. 

SUL GARGANO: LE STIGMATE, IL PROFUMO INDECIFRABILE, L’INCENDIO D’AMORE. 

   Mentre un nemico della Chiesa Cattolica come Cesare Festa si lascia conquistare da Cristo, ci sono altri che tramano contro il Frate di Pietrelcina, inviando al Sant’Ufficio degli scritti che lo accusano di procurarsi le stigmate con l’acido fenico.

   L’Organo vaticano decide di inviare sul Gargano mons. Carlo Raffaello Rossi, da poco consacrato Vescovo di Volterra. Il presule giunge a San Giovanni Rotondo il 14 giugno 1921.

   Sebbene un po’ prevenuto all’inizio, è positivamente colpito dall’espressione di bontà e di sincerità del Frate di Pietrelcina. Stando con lui per alcuni giorni, mons. Rossi segue con particolare attenzione la sua giornata, i suoi movimenti e gli atteggiamenti, restando particolarmente colpito dal suo spirito di obbedienza. Quindi, lo interroga, chiedendogli di narrare la sua vita umana e mistica fin nei minimi dettagli.

   Con le mani sul Vangelo e sotto giuramento, Padre Pio ubbidisce, componendo una sorta di autobiografia in 6 deposizioni.

   Una delle domande più rilevanti è questa: Chi lo ha stigmatizzato e per quale ragione? E se gli ha affidato una missione? 

   A questi interrogativi risponde raccontando l’episodio della sua stigmatizzazione: “Il 20 settembre 1918 dopo la celebrazione della Messa, trattenendomi a fare il dovuto ringraziamento nel Coro, tutt’a un tratto fui preso da un forte tremore, poi subentrò la calma e vidi Nostro Signore in atteggiamento di chi sta in croce, ma non mi ha colpito se avesse la Croce, lamentandosi della mala corrispondenza degli uomini, specie di coloro consacrati a Lui e più da lui favoriti. Di qui si manifestava che lui soffriva e che desiderava di associare delle anime alla sua Passione. M’invitava a compenetrarmi dei suoi dolori e a meditarli: nello stesso tempo occuparmi per la salute dei fratelli. In seguito a questo mi sentii pieno di compassione per i dolori del Signore e chiedevo a lui che cosa potevo fare. Udii questa voce: “Ti associo alla mia Passione”. E in seguito a questo, scomparsa la visione, sono entrato in me, mi son dato ragione e ho visto questi segni qui, dai quali gocciolava il sangue. Prima nulla avevo”.

   Dopo aver esaminato le stigmate del frate, mons. Rossi esprime il suo pensiero sulla realtà fisica di tali “lesioni”: “le stigmate ci sono: siamo dinanzi a un fatto reale: impossibile negarlo”.

   Dopo aver accantonato la varie tesi possibili sull’origine delle stigmate, tra cui anche quelle dell’utilizzo di acido fenico e di veratrina, pur lasciando ai cardinali del Santo Ufficio l’ultimo grado di giudizio, sotto il profilo razionale, alla luce dei dati acquisiti, il Visitatore apostolico ritiene che le stigmate di Padre Pio possono avere una sola origine: quella divina.

   Nei giorni in cui osserva da vicino Padre Pio, il presule resta impressionato nel costatare due fenomeni eccezionali. Mentre è in convento sente un profumo gradevolissimo e vivissimo «paragonabile a quello della violetta». È un olezzo che si sente a ondate, a momenti, a distanza. Si dice che provenga da Padre Pio, ma nella sua cella non c’è che del semplice sapone.

   L’altro fenomeno è quello delle ipertermie, cioè i forti aumenti della temperatura corporea, da cui il Frate di Pietrelcina è affetto, tanto è vero che per misurargli la febbre sono utilizzati i termometri per i cavalli, le cui temperature giungono fino a 48 gradi. Anche questi si rompono quando giungono al limite.

   Interpellato su queste febbri altissime, Padre Pio le attribuisce agli “affetti interni”. “Un male morale, non fisico, nel quale Padre Pio si trova, per sua ammissione, come in una fornace. Il fatto è così originale che «sotto la pressione di questa febbre, non rimane abbattuto, si alza, si muove, fa tutto»“.

   Tale fenomeno è confermato anche nella lettera che Padre Pio scrive a padre Benedetto il 20 novembre 1921, quando confida di “non sapere esprimere e mettere fuori tutto questo vulcano sempre acceso che mi brucia e che Gesù ha immesso in questo cuore così piccolo”.

  Che cosa può essere questo vulcano acceso che Gesù può aver immesso nel suo cuore?

  Anche se il pensiero induce a soffermarsi sulla semplice idea del fuoco dello zelo e dell’ardore sacerdotale, non si può non andare oltre le parole, riconoscendo uno dei straordinari fenomeni mistici presenti nel suo spirito. Può essere il cosiddetto incendio d’amore, in quanto l’anima avverte uno straordinario calore dalla parte del cuore. Con la citata espressione di “questo vulcano sempre acceso che mi brucia e che Gesù ha immesso in questo cuore così piccolo”, sembra proprio che Padre Pio alluda a tale esperienza mistica, così ardente da dare l’idea che il cuore stesso bruci. Un fenomeno molto presente nella vita di alcuni santi, come nel caso della beata Giuliana di Cornillon, apostola del culto eucaristico, Santa Brigida di Svezia, San Stanislao Kostka, San Francesco Saverio e altri. San Giovanni della Croce parla dell’incendio d’amore come di un effetto della notte oscura dell’anima: l’esperienza di desolante aridità spirituale vissuta da Padre Pio. “Come frutto di questo processo oscuro e doloroso, realizzato dallo Spirito Santo, la persona sperimenta un incendio di amore che abbraccia tutte le componenti della sua personalità”.

IL MISTERO DI BENE E DI LOTTA IMPLACABILE TRA PADRE PIO E IL MALE  

   I primi accenni di quella che sarà un’autentica rete di macchinazioni contro il Frate di Pietrelcina, si cominciano a intravedere, già ora, tra le mura severe del Santo Ufficio a Roma, dove la convergente influenza di padre Gemelli, del Vescovo di Manfredonia mons. Pasquale Gagliardi, e di alcuni sacerdoti secolari di San Giovanni Rotondo, inizia a produrre i suoi effetti nefasti sull’opera di bene che sta nascendo sul Gargano.

   Il 2 giugno 1922 gli Inquisitori Generali del Santo Ufficio decidono di scrivere una lettera al Ministro generale dei Cappuccini, disponendo che intorno a Padre Pio “si stia in osservazione; si eviti ogni singolarità e rumore circa la sua persona, celebri la messa di preferenza summo mane (all’alba) e in privato... Per nessun motivo egli mostri le cosiddette stigmate, ne parli a qualcuno e le faccia baciare”. Si dispone, inoltre, che deve cessare subito la direzione spirituale di padre Benedetto da San Marco in Lamis, così come si deve porre fine a qualsiasi rapporto epistolare tra lo stesso padre Benedetto e il confratello stigmatizzato. Infine, il Sant’Ufficio chiede al Superiore Generale di disporre il trasferimento di Padre Pio in un altro convento cappuccino.

   Fin dal 18 giugno 1922, il Superiore provinciale padre Pietro di Ischitella cerca di assicurare il Padre generale sul suo impegno per l’attuazione degli ordini ricevuti. Alcuni sono più semplici da attuare, ma altri, come il trasferimento di Padre Pio, appaiono molto più ardui. Infatti, non tarda a diffondersi la notizia della decisione relativa al trasferimento, mettendo in subbuglio tutta la popolazione di San Giovanni Rotondo. Guidati dal sindaco, Francesco Morcaldi, i cittadini cominciano a organizzare turni di guardia attorno al convento, pronti a intervenire finanche con le armi per impedire qualsiasi trasferimento di Padre Pio.

   Intanto, il Vescovo di Manfredonia, mons. Pasquale Gagliardi, si reca a Roma in visita ad limina, cogliendo anche l’occasione per “sollevare contro Padre Pio il maggior numero di uomini di Chiesa e lo stesso Papa”. Con la morte di Papa Benedetto XVI, molto ben disposto verso il Frate di Pietrelcina, a Roma si è determinata una situazione nuova, visto che è stato eletto Papa Achille Ratti, prendendo il nome di Pio XI. Gagliardi è ben conscio che, aggiungendosi alla diagnosi d’isterismo, avanzata da padre Gemelli, le sue calunnie troverebbero un terreno abbastanza fertile per seminare la sua zizzania in certi ambienti del Vaticano. Ecco perché arriva a formulare perfino questa accusa in riguardo al famoso profumo e alle stigmate: “Ho visto di persona Padre Pio incipriarsi e profumarsi e, durante la mia visita al convento, ho scoperto una bottiglia di acido nitrico con cui si è provocato le stigmate e una bottiglia d’acqua di Colonia per profumarle. Sono pronto a giurarlo: Padre Pio è un indemoniato e i frati di San Giovanni Rotondo una banda di imbroglioni”. 

   Accuse tremende, ma attestate dall’ottimo libro di Yves Chiron: Padre Pio, una strada di misericordia, Ed. Paoline, Milano.

  Accuse che evocano le parole terribili pronunciate qualche decennio prima, dall’angelo del male, nei confronti di Padre Pio, echeggiate nella casa di via Santa Maria degli Angeli, a Pietrelcina. In una delle sue visibili apparizioni l’angelo perverso gli disse minaccioso: “Se non desisti farò succedere contro di te cose che mente umana non riesce ad immaginare”

   Ripensando queste parole, comincia a dipanarsi il terribile mistero di Bene e di lotta implacabile contro il male e il suo artefice: Satana; di sofferenza, e di protagonista, a fianco di Cristo, nel grande “Negozio della Redenzione umana”, come dirà, poi, a Cleonice Morcaldi, sua figlia spirituale.

   Che reazione può provocare una simile dichiarazione, da parte del vescovo di Manfredonia, in un ambiente ecclesiastico come il Sant’Uffizio, che di per sé ha già cominciato ad assumere una posizione di diffidenza verso Padre Pio, grazie alle accuse di padre Gemelli? Che riverbero possono provocare, queste parole, tra coloro che abitano nelle sacre mura leonine, e conoscono poco, o addirittura ignorano realmente Padre Pio da Pietrelcina?

   Il 2 luglio 1922 l’arcivescovo Gagliardi è ricevuto da Papa Pio XI, e non è difficile immaginare cosa possa aver detto riguardo a Padre Pio, visto che il Convento cappuccino di San Giovanni Rotondo appartiene alla Diocesi di Manfredonia.

   Già informato sul Frate di Pietrelcina dal suo amico padre Agostino Gemelli, Papa Ratti riceve, quindi, ulteriori notizie di parte, dal Vescovo di Manfredonia, Pasquale Gagliardi.

   Continuando a seguirmi, riuscirete a cogliere il senso del mistero che avvolge l’esistenza umana. Un mistero di dolore e di amore, vissuto da Cristo Gesù Figlio di Dio, e rivissuto dal suo Figlio più amato: Padre Pio da Pietrelcina. D’ora in avanti, la sua vita sarà sempre più corredata di malattie, infermità, vessazioni diaboliche, percosse morali e umiliazioni subite da parte di prelati, religiosi, e qualche vescovo che operereranno per conto di quelle istituzioni ecclesiale che lui amerà sempre dicendo: “La Chiesa è Madre, anche quando percuote”.

 (Continua…) 

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Guida Turistica di Benevento

  Nato e cresciuto nel cuore del centro storico di Benevento, Donato Calabrese ha sempre coltivato intensamente l’amore per la sua storia, la cultura, il patrimonio artistico e monumentale, le tradizioni della sua città, definendo Benevento come la città dai mille volti. Una città antichissima e misteriosa; affascinante e ricca di mistero, ammaliante e attraente. Una città capace di coinvolgere emotivamente il visitatore attento, invitandolo alla scoperta della bellezza umile e nascosta, arcana ed intrigante, serena e fiera del suo passato. 

  Guida patentata della Regione Campania, Donato Calabrese vi accompagna nella scoperta delle antiche vestigia sannitiche, delle grandiose opere d’arte della Benevento romana, delle bellissime costruzioni della capitale longobarda, della Benevento Pontificia che ha percorso il periodo più lungo, più di 800 anni, della sua lunga storia, nonché della Benevento italiana, con i suoi sviluppi a cavallo delle due guerre, le sue prospettive e le sue tradizioni, svelandovi l’arcano mistero delle streghe e del noce di Benevento, della conversione dei longobardi ad opera di san Barbato, del fascino nascosto nei vicoli del centro storico e, soprattutto, della ricchezza variegata della cucina Beneventana, tra cui emergono la zuppa di Cardone ed il celebre torrone.



 

 

Alza lo sguardo e vola con lo Spirito: va dove ti porta il cuore!



              

                               10/09/2023